Errori militanti

ErroreMastrofilippo Annalisa ebbe la triste notizia alle 15 e 30 di lunedì, mentre stava per concludere la lunga sessione di pettegolezzi su EffeBi con la sua amica del cuore, nonché vicina nel registro di classe, Mastrototaro Nicoletta.

– Oh, me ne stavo dimenticando… domani abbiamo la verifica scritta di italiano!

Eccheppalle! pensò Mastrofilippo Annalisa.

Vanificati da una brutta notizia, i benefici di due giorni di malattia  e di un’ora di chiacchiere con Nicoletta, sull’ultimo amore conosciuto di Di Filippo Caterina, quella che era considerata all’unanimità la bella della scuola – certo non dalle vicine di registro di classe, che la odiavano come fosse la peggiore malattia infettiva del mondo creato. A Mastrofilippo non rimase che mettersi a ripassare l’ultimo argomento svolto a scuola: come si scrive un diario. Ad onor del vero e a supportare il suo cattivo umore fece qualche considerazione: prima di ogni cosa, lei sapeva benissimo come si scrive un diario e perché. Intanto lo si scrive con la matita per cancellare i compiti da fare, riportati durante le ore di lezione a scuola, dopo averli svolti – SE svolti. Regolarmente cancellava i compiti per avere più spazio per le frasi d’amore e d’amicizia, per attaccare le figure dei One Direction o di Justin Timberlake. Data la lunga esperienza maturata nella scrittura diaristica da parte dei ragazzi, perché mai Italiano si ostinava a far leggere agli alunni pagine e pagine di antologia, dove Rita Levi Montalcini la tirava lunga, in un diario, sulla sua lontanissima gioventù, visto che era una carampana anche quando aveva una età presumibile attestata sui trent’anni? C’era una vena, nemmeno tanto sottile, di perverso sadismo da parte del prof nell’assegnare un compito subito dopo e  sulla falsa riga di !– be’ Mastrofilippo non aveva la capacità di pensare così, ma il succo delle sue meditazioni era questo! – O forse era meglio dire che Italiano ragionava come se avesse un’antologia al posto del cervello, un ragioniere della letteratura a brani: dieci letture uguale una verifica finale? Con tristezza Mastrofilippo Annalisa continuò a ripetere per non vedersi abbassare, con un voto schifo, una media già sufficientemente disastrata. Fece una rapida lettura, prese atto della struttura del diario, la data, l’ora – l’ora?! ecchè doveva scrivere un bollettino meteorologico?? – l’inizio: Caro diario… – e sai che inizio originale! – la chiusa: tua Mastrofilippo Annalisa… ah no, solo Annalisa, sennò chi lo sentiva Italiano! E amen, se ne andò a dormire con l’impressione di aver fatto anche più di quello che doveva. Il giorno seguente, in classe, l’aria era sonnacchiosa e deconcentrata. Non dovevano neppure spostare i banchi < Tanto > diceva Italiano < non avete da copiare uno dall’altro, scrivete tutti come se il Diluvio Universale vi avesse sciacquato il cervello! > Era di martedì, dunque, e dati gli eventi successivi quello diventò un martedì da ricordare, eccome! Al termine delle due ore sofferte e patite, Mastrofilippo Annalisa e i rimanenti ventiquattro, consegnarono i fogli ad Italiano, come se si sbarazzassero di un cadavere appena accoppato. Che liberazione togliersi di torno pensieri sconnessi e dislessici, verbose costruzioni infarcite di errori d’ogni genere come una zeppola marzaiola infarcita di crema pasticcera! A voler guardare – e anche a correggere, come si accingeva a fare Italiano di lì a poco – si scorgevano neologismi, costruzioni sintattiche degne di un quadro astratto, una morfologia da giardino zoologico. Era martedì, per l’appunto, e Italiano che sapeva, imbracciò i compiti come una croce, simile al Nazareno nei suoi giorni di allenamento verso il Golgota. Portò quei fardelli a casa, nell’attesa – sicuramente non spasmodica – della correzione pomeridiana. A questo punto vale la pena aprire una parentesi sulla figura, appena profilata dalle dicerie scolastiche, di Italiano. Era costui uno di quelli che la dicitura anglofonizzante corrente definirebbe single. Tuttavia lui stesso non avrebbe esitato a dichiararsi signorino grande – data l’età e il pensiero sicuramente d’altri tempi, tempi tosti e militanti. Viveva in comunicazione interrotta con la madre – nel senso che ognuno faceva vita a sé, per quanto possibile in un appartamento moderno. A Italiano piaceva leggere i quotidiani e lo faceva come se applicasse a se stesso una consegna scolastica, leggere almeno quattro giornali al giorno era il minimo che si consentiva. Da questi estrapolava consigli di lettura, pagine interessanti solo per lui, ma che regolarmente somministrava agli alunni come punizione corporale – anche le orecchie possono subire un tracollo verticale a causa di letture costrette! Di tanto in tanto scambiava con Sostegno, sua sodale,  qualche opinione sulla pochezza del mondo e molte opinioni sullo scombinamento che il Diluvio Universale aveva prodotto nei cervelli dei comuni alunni – come è evidente pensieri e parole di due ormai fuori dal mondo! Il pomeriggio arrivò, per Italiano, simile ad un appuntamento col destino. Se non avesse pensato al destino, è probabile che il destino stesso avrebbe evitato di far visita ad un signorino grande, privilegiando magari qualche abituale frequentatore di un noto bar cittadino, dove era facile combinare destino e persone in una comune accozzaglia di brioches al pistacchio e amorazzi da strapazzo. Ma il destino è destino, una volta invitato col pensiero, non molla la presa neppure a cacciarlo. Sicchè iniziò, con molto ritardo, e con una voglia ancora più ritardata, il rituale della correzione: penna rossa a portata di mano, fogli disposti a pancia in sotto sull’incerata del tavolo di cucina, orologio per guardare quando sarebbe arrivato il momento per dare un taglio all’orrore e andare al cinema. La cucina era un luogo confortevole per correggere le verifiche; l’odore dell’ultima preparazione culinaria conosciuta, ma anche di altre leggermente più stantìe ormai standardizzate nell’arredo, davano un sottofondo gentile e consolatorio all’eventuale mal di pancia da correzione. E Italiano quel pomeriggio ebbe modo di sperimentare ogni possibile variante di mal di pancia, chè gli errori erano più simili ad orrori che ad altro! Quale furia aveva partorito quei pensieri? Non si poteva scrivere un tema come fosse l’elenco telefonico: Caro diario, siamo andati, abbiamo visto, ci siamo divertiti, siamo tornati, tuo Pinco Pallino! E spesso neppure con la sequenza standard… macché sarebbe stato pretendere l’impossibile! Confusione su confusione, errori di ogni tipo. Uno sconforto profondo aveva assalito Italiano mentre vergava quei cinque caritatevoli, come un novello Florence Nightingale, somministrava voti agli inermi, invece che medicine agli infermi. I cinque di Italiano erano più che medicine per gli alunni, una purga per lui, di quelle belle forti, tanto farsi del male più di così non era possibile! Uscì per andare al cinema, perché si disse, sarebbe stato capace di strozzare qualcuno altrimenti, e voleva conservare sua madre ancora per qualche tempo! Nel mettersi a letto, verso mezzanotte, percepì chiaro un frusciare di fogli. Attribuì la causa del rumore al vento che entrava dalla finestra e che aveva smosso, di sicuro, qualche foglio. Controllata la finestra si rese conto dell’ermeticità con cui era chiusa – come un barattolo? come i poeti dell’ermetismo? le analogie che Italiano partoriva al momento erano fenomenali! – niente… qualche pizzino caduto, pensò – Italiano era noto, anche, per la sua inveterata abitudine a compilare infinite note su pezzi di carta riciclati – e si infilò a letto godendo del sonno immediato dei giusti. Ma nessuna nota era caduta per un vento inesistente e il sonno non avrebbe dovuto essere così prematuro, per Italiano. Facevano rumore – e a quel punto nemmeno tanto discretamente – gli errori, che tramutatosi in orrori e in seguito in orridi mostri, gioivano con grida belluine e dislessiche la novità dell’essere corpo e pensiero, dopo essere stati parole bistrattate e corrette dalla penna rossa di Italiano. Concordarono velocemente una strategia d’azione, avrebbero catturato l’ostaggio che giaceva tranquillo nel letto, e con un colpo maestro di trasformismo l’avrebbero scaraventato nel mondo orrido da cui erano venuti. Detto fatto e al grido di: Avant popl ala riscotta! ridimensionarono  la ragguardevole stazza di Italiano al loro livello, brandendo i segni rossi di penna con cui Italiano aveva  vergato le loro terga, come armi per distruggere, scaraventando l’ignaro letterato, nel mondo degli autogrill da dove partivano tutti i migliori elenchi tematici del riempitivo della verifica di italiano – ché tra il Caro diario, siamo andati ecc. ecc. c’era sempre una sosta in autogrill, con annessa elencatoria di quello che prendeva la mamma, la zia, la nipote, il cugino, lo zio grande, la cugina scostumata e via così, ad esaurimento della prima pagina di protocollo! La mattina seguente la sveglia suonò invano, senza che nessuna mano potesse metterla a tacere. La mamma di Italiano pensò che il figlio,  signorino grande, fosse uscito di casa anzitempo. Mastrofilippo Annalisa, Mastrototaro Nicoletta e i rimanenti ventitré alunni quel giorno, a scuola, non ricevettero nessuna cattiva notizia. I compiti corretti non vennero consegnati né quel giorno, né mai. Gli errori, intanto, ringalluzziti dalla loro prima vittoria, si mobilitarono con gli errori di altre verifiche e, come militanti severi, misero a frutto un piano per l’eliminazione totale dei prof di Italiano. Del nostro Italiano si persero le tracce e le tracce persero Italiano. Mastrofilippo Annalisa, ad anno scolastico ultimato e dopo un viaggio a Rimini con sosta in autogrill, giurò a Mastrototaro, in chat su EffeBi, di aver visto vagare Italiano a Rubicone est, mentre girava tra i tavoli in fòrmica del ristorante, chiedendo la carità di qualche tema da correggere.

E’ Carnevale… ogni scherzo vale!

A Carnevale è possibile trasformare l’antipatia, per la supponenza di una collega e la maleducazione di un alunno, in una piccola vendetta verbale così, tanto per ridere.  😀

antoine_lavoisier< Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma… > Detto questo Quella di matematica si afflosciò sulla cattedra, come una mongolfiera alla fine della corsa. < Azz, allora è vero che le scienze uccidono! > Fu il pensiero di Porcaro Giuseppe, pluriripetente, numero 13 dell’elenco alunni della seconda effe. Si fiondò alla porta. < Bide’, bide’, Quella di matematica è morta! > Il signor Savino, bide’ ma non ancora bidet, con l’aplomb tipica di quelli che facevano parte della categoria dei bidelli, si affacciò sull’uscio della classe. Alla vista di Quella riversa sulla cattedra, tra gli alunni che si mantenevano a debita distanza – è vero che sembrava morta, ma Quella di matematica incuteva terrore anche da morta! –  venne mosso da un impeto inusuale e avvicinatosi in gran fretta chiamò: < Professore’, professore’… > scuotendola per un braccio, poi allarmato disse a Porcaro Giuseppe: < Vai in segreteria e fai telefonare al 118! > Nel frattempo le colleghe di Quella, sentito il trambusto, s’erano affacciate anche loro. Cercarono di calmare i ragazzi mettendoli a sedere, ma lo sgomento prese corpo. < Mettiamola giù! > disse Religiosa < Ma che sei scema? Ti vuoi far venire un’ernia? > aggiunse Italiano < Grossa com’è?  > – l’emozione le aveva fatto venire una serie di affermazioni sincopate e piene di punti interrogativi, peggio di un singhiozzo! In effetti la stazza di Quella era da Gran Premio, anche i medici del 118 stentarono a sdraiarla. Reagiva agli stimoli – morta dunque non era – ma aveva un che di strano nello sguardo, una fissità anomala e distratta negli acuti occhi azzurri – capaci di sgamare un copiaggio anche a distanze inaudite! – che fece venire i capelli ritti ai presenti. Annacondia Carmela , la cocca di Quella, cominciò a lamentarsi < Mado’, Mado’… > quando Porcaro Giuseppe le diede una gomitata per zittirla < Magari mo’ ce ne andiamo a casa! > pensò quest’ultimo. Così, fatto strano per l’ onorata scuola , gli alunni sciamarono verso casa dopo che il Preside, disorientato quanto lo erano stati gli alunni di Quella, aveva decretato il ritorno ai patri lidi. Il giorno dopo però, Porcaro Giuseppe ebbe modo di intristirsi, primo perché aveva perso la scommessa con Pansini Riccardo – il primo sosteneva che non ci sarebbe stata una supplente e invece, puntualmente, c’era un’altra Quella a sostituire la “ morta “ – e secondo Quella che sostituiva iniziò subito ad interrogarlo: < Chi è Porcaro Giuseppe? > – e che cavolo, le notizie correvano nella scuola, appena arrivata una nuova aveva subito voglia di conoscerlo! – < Io, ‘ssore’, perché? > < Porcaro, dimmi dove eravate arrivati in scienze > E lo chiede a me? pensò…  < Ah sì, quello come si chiama Luavasiè, che non si distrugge, manco fosse Jeeg robot d’acciaio! > < Porcaro mi avevano detto della tua spiritosaggine, ma non pensavo arrivasse a tanto! Ti riferisci senz’altro al famoso aforisma di Lavoisier:  ” Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma ” >  Pronunciate le fatidiche parole anche Quella che sostituiva ebbe un malessere del tutto simile alla sostituita. Porcaro Giuseppe stentava a credere ai suoi occhi – manco fosse un novello Tommaso apostolo! < Bide’, bide’!! > Stavolta il grido fu univoco, tutta la classe si riversò nell’atrio della sezione effe, impaurita per l’altra morta! Stessa procedura del giorno precedente e tutti a casa. Tuttavia il cervello di Porcaro Giuseppe si rifiutò di credere all’evidente coincidenza –  casuale, per carità! dove s’era mai visto che un aforisma tramortisce? – tuttavia, il tarlo era tratto e Porcaro Giuseppe aveva iniziato a fare ragionamenti speculativi del tutto eccezionali per uno che si professava ignorante per vocazione. < Vuoi vedere che la frase di lavacoso riesce ad ammazzare pure Italiano? Mo’, domani ci devo proprio provare! > sentenziò. Ma il giorno dopo fatta la prova e costretta Italiano, con l’inganno, a ribadire il concetto scientifico non ottenne nessuna trasformazione, tutt’altro. Italiano vista la buona volontà pensò bene di interrogarlo sulla Rivoluzione Francese – in fondo erano in tema – ma lui sapeva solo di persone quasi morte, su quelle realmente morte e nel 1700 poi! non ne voleva sapere proprio. A casa decise di usare il computer, invece che per giocarci come era uso e abuso, per fare una ricerca su quell’accidente di Jeeg scienziato. Si connesse e aprì Wikipedia. Subito dopo aver letto Antoine-Laurent de Lavoisier si trovò a pronunciare < Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma… > Si accasciò sulla scrivania, attonito e stupito dalla grandezza di quella affermazione che aveva fatto di lui una statua di sale, ma finalmente sapiente.

La madre di Porcaro Giuseppe ritrovò il figlio in quello stato, qualche ora dopo. Dopo aver visto sul computer quale era stata l’ultima ricerca di suo figlio, disperata gli disse: Era meglio che rimanevi ignorante! Non ebbero modo, entrambi, di leggere quanto era scritto tra le note a pie’ pagina: A chi gli faceva osservare che Lavoisier era uno scienziato, il giudice Jean-Baptiste Coffinhal, Presidente del Tribunale Rivoluzionario che lo mandò alla ghigliottina rispose: «La révolution n’à pas besoin des savants» (La rivoluzione non ha bisogno di sapienti).

La vera storia di Sant’Elpidio a mare!!!

 
 
I favolosi abitanti di Sant’Elpidio, i già nominati Santelpidiensi, sono una comunità discendente dalla mitica Atlantide a cui piace molto scrivere; qualsiasi cosa, che sia una storia o una ricetta, una tegola o un sanpietrino.
La loro professione principale tuttavia era ed è tutt’ora prevedere per predire e prevenire, un po come gli scienziati dell’AZ tartar control con una mela verde su per il culo ancora intera. Ecco, senza dilungarci tanto, focalizzerei l’attenzione sulla discendenza mitica e sul loro amore nella prevenzione e nella vegenza.
I Santelpidiensi hanno calcolato da seimila anni che fra esattamente 52 anni, cioè la durata della vita di un castoro marchigiano a pelo bruno, lo scioglimento dei ghiacciai porterà inondazioni così violente che provocheranno l’innalzamento dei mari con conseguente spiaggificazione ad appena 5 metri sotto il livello di Sant’Elpidio; più precisamente a 246m sopra il livello del mare di oggi.
I santelpidiensi nel tempo libero preparano canotti in vimini e salvagenti con splendide decorazioni medioevali, la loro principale fonte di sostentamento è la parola, per la quale ogni giorno si prostrano e donano centinaia di migliaia di acari.
Ecco perchè "a mare"!  
 
( a cura di °_JiMmY-JaZz_ç )

Peter & Jude

l’anziana donna non se ne fece un cruccio, anche perche’ era contenta di vederli insieme….

Durante il pranzo continuarono a parlare… Jude ricordava loro quello che era rimasto nella sua memoria, le impressioni della piccola ribelle… Peter amava farle dei dispetti e Jude prometteva vendetta. Quindi ridendo mise sulla difensiva l’uomo: adesso che lo aveva ritrovato, avrebbe potuto portare a compimento quello che si era ripromessa tempo addietro! Peter con aria di sfida le intimò di provvedere al più presto. A quel punto Celina si intromise chiedendo di iniziare più tardi con le rappresaglie e domandò a Peter notizie di sua sorella. Mentre l’uomo parlava Jude cominciò a riflettere su quanto aveva ascoltato dal suo amico e le venne semplice comparare la sua vita a quella di lui… era andata via da giovane per insofferenza alle rigide regole di Angela, aveva scelto di vivere con un uomo più grande di lei che, apparentemente le aveva fornito la sicurezza di cui aveva bisogno e poi si era rivelato di una fragilità impressionante e si era attaccato a lei quasi soffocandola. Aveva trascorso anni terribili sopportando una gelosia immotivata e cattiva. Neanche la gioia del bambino che aspettava era durata a lungo…l’aborto spontaneo l’aveva ferita sopra ogni cosa e l’aveva allontanata definitivamente dall’uomo che le sembrava di amare. Adesso le rimaneva ben poco da fare… riprendersi la sua vita, considerare il tutto con un cambiamento di prospettiva… Peter la fece ritornare per terra, tirandole una ciocca di capelli con delicatezza, quasi una carezza… Lei chiese scusa ma desiderava, a quel punto, tornare a casa. Peter si offrì di accompagnarla… fuori le prime ombre della sera giocavano a nascondersi tra i rami dei corbezzoli. L’aria aveva qualcosa di evanescente e di magico. Peter le passò un braccio intorno alle spalle e così si incamminarono. Era troppo tempo che non provava una sensazione così piacevole: il calore di uomo che ti avvolge il corpo a creare uno scudo invisibile tra te e il mondo… questo pensava Jude. Appena aperta la porta si udì il miagolare di Cagliostro rimasto solo per una buona parte del giorno… Jude lo consolò e si fece perdonare con del cibo fresco svuotato nella ciotola di fianco al suo cesto. Peter ammirava la grazia dei movimenti della donna: aveva conservato un che di infantile nello scuotere la testa per allontanare la cascata dei capelli dal viso, mentre si inchinava verso l’animale. Il suo corpo era ancora quello di una fanciulla: i fianchi stretti, le gambe lunghe e nervose strette nei jeans… ma il seno pieno rivelava la bella donna che era diventata… Jude lo invitò a sedersi con lei sul divano di fronte al caminetto. Ardeva ancora qualche brace e Peter riattizzò il fuoco aggiungendo altra legna. Rimasero a guardare il fuoco che diventava sempre più vivo…le fiamme che si libravano e si coloravano di azzurro e rosso avevano una cadenza ipnotica, prendevano la mente e la torcevano costringendola a ripetere il movimento delle lingue di fuoco… Jude era incantata e non si accorse che Peter al suo fianco aveva iniziato a guardarla e ad accarezzarle i capelli. Lei appoggiò le sue spalle contro il corpo dell’uomo e si ritrovò nel cerchio magico delle sue braccia. Le sembrò naturale e semplice essere lì, fare quello che stava per fare… desiderava Peter dal primo momento in cui si era ritrovata a fissarlo per strada. Girandosi lo baciò dolcemente sugli occhi mentre Peter immergeva le mani nei lunghi capelli folti di Jude. Piano, quasi temendo di farsi del male, presero a baciarsi sulle labbra… piccoli baci fugaci per capire, per abituarsi…

 

…e correndo la incontrai lungo le scale…

 

 

Mentre percorreva le vecchie strade, avvertiva qualcosa di insolito… tutto le sembrava più nuovo, diverso. Era una sensazione che non gradiva. Jude ricordava l’aria trasandata, da vecchio borgo marinaro che aveva il piccolo paese… quell’aria di nuovo, i tanti oggetti nelle vetrine, la ricchezza ostentata la infastidivano…era come trovarsi al cospetto di una vecchia signora, abituata ad essere sempre discreta nei modi e nelle sembianze, che ad un tratto aveva deciso di cambiare atteggiamento per assumere le fattezze di una volgare parvenue. Risalendo i gradini che l’avrebbero portata alla piazza principale, incrociò lo sguardo di un uomo che, invece, li discendeva. Era vestito come abitualmente vestono le persone che vanno per mare, giacca blu di panno, vecchi pantaloni di fustagno e, unica macchia di colore, un maglione a collo alto blu elettrico. Il viso abbronzato faceva pensare a lunghe ore trascorse all’aria aperta…gli occhi chiari e schietti si fissarono esitanti negli occhi di Jude, per alcuni interminabili secondi. Jude riconobbe Peter… senza parlare si abbracciarono a lungo e poi con le domande che si affastellavano, una sull’altra, iniziarono a raccontarsi…

 

Peter

Fuori della casa Jude sentì il nodo della tristezza sciogliersi piano: Le venne voglia di saltare. Si vide bambina percorrere mille volte il viale, saltando su un piede, poi sull’altro in prove di abilità sempre crescenti…

– Signorina Giulia…

La vecchia Celina la chiamò da lontano affacciata alla porta della foresteria.

Solo lei la chiamava ancora così. Jude era il nome che Angela le aveva dato, il titolo di una vecchia canzone che sua madre amava, “ Hey Jude, dont’ make it bad, take a sad song and make it better…”Angela la esortava sempre a trasformare se stessa in qualcuna migliore…

Si avvicinò alla piccola casa della custode.

– Ciao, Celina…

La baciò sulle guance segnate dal tempo – …dimmi, ma non chiamarmi signorina, mi hai vista nascere!

– Sì, hai ragione Giulia…ma sai noi anziani abbiamo difficoltà a cambiare abitudini. Tu sei diventata una donna e mi è difficile riconoscere la mia piccolina…

Jude abbracciò la donna.

– Celina sono sempre io, non preoccuparti…la piccola lucciola dei tuoi ricordi.

– Giulia, se desideri, vieni a pranzo qui da me più tardi. Ci sarà anche Peter, mio nipote. Ti ricordi di lui vero?

Peter… apparve ai suoi occhi, in una estate caldissima tra i rovi di more ai confini del giardino, verso la strada. I suoi capelli fulvi spiccavano, come un sole, tra il verde scuro dei cespugli. Le era venuta subito voglia di tuffare le mani in tutta quella luce… Peter le rivolse la parola. All’inizio le sembrò un linguaggio esotico, poi capì immediatamente il senso delle sue parole: Peter era irlandese come Angela…

Jude…

sapeva di poter usufruire di ogni attimo che il tempo e la sua vita le mettevano a disposizione…

Avvertiva, nella giacca, l’odore aspro dell’essenza di vetiver che Angela era solita usare. Con la coda dell’occhio percepì un lievissimo movimento alle sue spalle. Si ritrovò a sussurrare – Mamma… – ben sapendo che nessuno le avrebbe risposto. Avrebbe voluto ancora parlare con lei, dirle quello che negli ultimi anni erano riuscite a nascondersi. Sin da piccola aveva sempre pensato di non appartenerle, di essere un’estranea per lei. La vedeva considerare con affetto costante suo fratello, quasi fosse il suo piccolo amante. Lei aveva finito per diventare selvatica, introversa, piena di spigoli. Non si voleva bene e vedeva la sua bellissima mamma persa in mille pensieri che sembravano non includerla. Negli ultimi tempi, in un pomeriggio di sole, mentre erano nel giardino della casa e Angela le mostrava la varietà di rose che aveva piantato l’anno precedente, lei l’aveva chiamata sfiorandole la spalla con la mano. – Angela.. – le aveva detto. Così faceva quando aveva voglia di confidarle i suoi pensieri più riposti. Lei aveva sollevato la testa e sorridendo, l’aveva guardata con i suoi occhi azzurro polvere, pieni di luce.

– Mamma, ti ricordi quando ero bambina?

– Certo…mi ricordo una piccola musona…

– Spesso consideravo la tua bellezza e mi vedevo bruttissima…

– Come sempre esageri, Jude.

– No, non esagero era così.

– Va bene e …dunque?

– Mi capita spesso di sentir dire adesso, da gente che conosce entrambe, quanto ti assomigli fisicamente. Questo giudizio è il complimento più bello che qualcuno può farmi. Sono felice di trovarmi sul viso e sul corpo le tracce della tua grazia.

Lei l’aveva guardata con amore, seria. Quanto tempo c’era voluto prima che diventassero così vicine? Quante prove avevano affrontato per ritrovarsi a condividere quei momenti di pace?

Jude, ripensando a questo sentì una stretta allo stomaco.

– Angela dove sei, maledizione?- disse ancora, a bassa voce.

– Ho ancora bisogno di te… mamma…

Le lacrime scivolarono dai suoi occhi, rincorrendosi in una scia salata. Piangere le curava la mente stanca dal lungo cercare le motivazioni del suo allontanamento…

John Singer Sargent Carnation, Lily, Lily, Rose 1885-6 

VANESSA, QUESTO POTREBBE ESSERE L’INIZIO…

 I piccoli frutti rossi scivolarono, cadendo dal cestino, sul pavimento in graniglia della cucina. Facevano uno curioso effetto e Jude li osservò a lungo, incantata. Era come vedere la collana di corallo , che aveva ricevuto in dono da sua madre l’estate precedente, rotolare e rimbalzare sull’impiantito. Chicchi di frutta improvvisamente danzanti nel mattino. Il gatto si avvicinò guardingo, anche lui interessato dall’improvviso movimento. Annusò qualche corbezzolo che aveva terminato la sua corsa in un angolo e provata l’inutilità del suo interesse, tornò ad abitare la cesta sistemata vicino al camino. Jude raccolse i frutti sparsi sul pavimento. Li aveva presi poco prima dai cespugli disposti a ridosso del muretto a secco che dava sulla duna. I corbezzoli maturavano protetti dai lauri e dal mirto. Le piccole bacche scabre spuntavano dalle foglie cerose, tra i fiori bianchi riuniti a mazzetto, fiori e bacche insieme a formare una trama di colore vivido tra il verde scuro dei cespugli. Jude amava quell’angolo. Da lì si vedeva il mare e la scogliera subito alta che continuava nella collina retrostante. Il vento di dicembre le raffreddava la pelle del viso e le faceva brillare gli occhi. Si strinse forte nella giacca di lana cotta che aveva preso dall’appendiabiti sistemato nel piccolo ingresso della casa, dove sua madre aveva abitato negli ultimi anni. Anche la giacca blu era di Angela. L’aveva scelta perché la proteggeva dalla pioggia nelle giornate d’inverno, quando comunque si dedicava a curare il giardino. Le gocce d’acqua scivolavano lungo le trame infeltrite come perle lucenti e Angela le scuoteva con un gesto vezzoso, che si addiceva alla sua figura di donna avanti negli anni ma ancora molto bella. Jude aveva l’impressione di sentire la braccia di sua madre intorno a sé, come quando era piccola. Le percepiva nel calore della giacca, nel tessuto sformato dall’uso…

ancora ” il cercatore di parole “

Era, dunque, un limpido pomeriggio di fine settembre e con calma passeggiavo tra i viali del giardino. Mi guardavo intorno a cercare, tra le numerose panchine, quella che potesse offrirmi un rifugio tranquillo privo del vociare di mamme ansiose o di schiamazzi di bambini invadenti. Trovai in un angolo, sotto un albero altissimo, un sedile diventato oramai un tutt’uno con le radici dell’enorme “ Ficus benjamina “ che lo sovrastava. La pietra era leggermente umida e coperta, lungo i margini, da uno strato scuro di piccoli licheni. Feci un gesto con la mano, a voler scostare qualcosa di sicuramente tenace. Un leggero soffio di vento mi sollevò piano i capelli, come se volesse punirmi per quello che avevo appena fatto. Mi accorsi che era realmente un posto isolato. Nessuno osava avventurarsi in quell’angolo remoto del giardino e il tempo sembrava immobile e sospeso tra i rami dell’albero. Tutto mi faceva pensare a quelle vecchie fotografie ingiallite che fermano per sempre un istante lontano per consegnarlo alla memoria delle cose. Mi sedetti, con la sensazione di aver già vissuto quell’attimo. Cominciai a sfogliare svogliato il giornale che avevo acquistato lì fuori. Non riuscivo, però, a rilassarmi; i miei sensi erano all’erta e sapevo che qualcosa sarebbe accaduto. Un uomo, all’apparenza non più giovane, passò guardandomi. Era vestito in modo curioso ed elegante. Camminava distinto, a suo agio nella giacca di lino chiaro dal taglio antiquato. Aveva in testa, un vecchio Panama dal quale spuntavano capelli di un bianco purissimo che incorniciavano il volto luminoso, quasi senza tempo. I suoi occhi profondi e scuri mi fissarono per un attimo. Incantato posai piano il giornale sulla panchina e ricambiai il suo sguardo. L’uomo passò oltre ed io fui preso dal desiderio di seguire i suoi passi. Mi accorsi che girava senza meta per i viali fermandosi ogni volta che vedeva un giornale o un quotidiano abbandonato su una panchina. Con fare delicato li prendeva infilandoli in una borsa che portava con sé, a tracolla. Questo mio curiosare mi tenne impegnato per qualche tempo. Solo più tardi mi accorsi che era già calata la sera e il giardino stava per essere chiuso al pubblico. Mi affrettai verso l’uscita anche perché avevo perso di vista il mio “ cercatore di parole “, così avevo battezzato, d’istinto, l’uomo, senza sapere il suo nome e senza sapere il motivo di quella strana caccia a cui avevo assistito nel pomeriggio.

signori, ” il cercatore di parole “…

Settembre è un mese che mi piace. Per via del tempo, probabilmente. Ci sono alcune giornate, verso la fine dell’estate, quando comincia a rinfrescare… il caldo non è più una cappa lattiginosa e l’aria diventa più rarefatta. Il cielo, spazzato dal maestrale, prende quel particolare tono d’azzurro che si ritrova spesso nel colore delle maioliche faentine. Sono ancora carico di buoni propositi, a settembre, con una gran voglia di fare. Inizia un nuovo anno di lavoro e mi sembra, a volte, di percepire qualcosa nell’aria, qualcosa che forse darà il via a dei cambiamenti. A settembre, tempo addietro, mi capitava spesso di avere qualche pomeriggio a disposizione. Era raro per me trovarmi in questa condizione: il lungo e monotono lavoro invernale era di là a venire e io ne approfittavo per cercarmi un poco di quiete nella penombra di certi alberi esotici, incredibilmente piantati nel giardino di un’antica villa donata alla cittadinanza da un ricco e bizzarro filantropo di origine ebrea.

Il giardino, davvero inconsueto per il nostro clima, era un antico orto botanico voluto dal donatore per omaggiare la donna che era stata la sua compagna di vita.

Le persone più anziane ancora ricordavano la bellezza malinconica della donna che, ogni giorno della sua breve vita, sedeva all’ombra degli alberi, un libro tra le dita, immersa nella lettura o con lo sguardo perso a rincorrere pensieri segreti.

Quando la Piccola Signora – così tutti la chiamavano – era morta, il suo compagno era partito. Nessuno lo aveva più rivisto. Un giorno di maggio di qualche anno fa, i cancelli della villa erano stati riaperti e alcuni giardinieri avevano provveduto a togliere le erbacce e a rendere agibili i viali e le panche di pietra invase dal muschio del tempo.

Il giardino, tuttavia, aveva ancora un aspetto particolare, come se l’abbandono dovesse essere una sua particolare caratteristica e questo, a guardar bene, lo faceva un luogo dove era facile perdersi in considerazioni non sempre lineari.