Trani, Villa comunale, sullo sfondo il Gargano – archivio fotografico personale
La vedi nel cielo quell’ alta pressione, la senti una strana stagione? Ma a notte la nebbia ti dice d’ un fiato che il dio dell’ inverno è arrivato. Lo senti un aereo che porta lontano? Lo senti quel suono di un piano, di un Mozart stonato che prova e riprova, ma il senso del vero non trova?
Lo senti il perchè di cortili bagnati, di auto a morire nei prati, la pallida linea di vecchie ferite, di lettere ormai non spedite? Lo vedi il rumore di favole spente? Lo sai che non siamo più niente? Non siamo un aereo né un piano stonato, stagione, cortile od un prato…
Conosci l’ odore di strade deserte che portano a vecchie scoperte, e a nafta, telai, ciminiere corrose, a periferie misteriose, e a rotaie implacabili per nessun dove, a letti, a brandine, ad alcove? Lo sai che colore han le nuvole basse e i sedili di un’ ex terza classe?
L’ angoscia che dà una pianura infinita? Hai voglia di me e della vita, di un giorno qualunque, di una sponda brulla? Lo sai che non siamo più nulla? Non siamo una strada né malinconia, un treno o una periferia, non siamo scoperta né sponda sfiorita, non siamo né un giorno né vita…
Non siamo la polvere di un angolo tetro, né un sasso tirato in un vetro, lo schiocco del sole in un campo di grano, non siamo, non siamo, non siamo… Si fa a strisce il cielo e quell’ alta pressione è un film di seconda visione, è l’ urlo di sempre che dice pian piano: “Non siamo, non siamo, non siamo…”
It was my thirtieth year to heaven Woke to my hearing from harbour and neighbour wood And the mussel pooled and the heron Priested shore The morning beckon With water praying and call of seagull and rook And the knock of sailing boats on the net webbed wall Myself to set foot That second In the still sleeping town and set forth.
My birthday began with the water- Birds and the birds of the winged trees flying my name Above the farms and the white horses And I rose In rainy autumn And walked abroad in a shower of all my days. High tide and the heron dived when I took the road Over the border And the gates Of the town closed as the town awoke.
A springful of larks in a rolling Cloud and the roadside bushes brimming with whistling Blackbirds and the sun of October Summery On the hill’s shoulder, Here were fond climates and sweet singers suddenly Come in the morning where I wandered and listened To the rain wringing Wind blow cold In the wood faraway under me.
Pale rain over the dwindling harbour And over the sea wet church the size of a snail With its horns through mist and the castle Brown as owls But all the gardens Of spring and summer were blooming in the tall tales Beyond the border and under the lark full cloud. There could I marvel My birthday Away but the weather turned around.
It turned away from the blithe country And down the other air and the blue altered sky Streamed again a wonder of summer With apples Pears and red currants And I saw in the turning so clearly a child’s Forgotten mornings when he walked with his mother Through the parables Of sun light And the legends of the green chapels
And the twice told fields of infancy That his tears burned my cheeks and his heart moved in mine. These were the woods the river and sea Where a boy In the listening Summertime of the dead whispered the truth of his joy To the trees and the stones and the fish in the tide. And the mystery Sang alive Still in the water and singingbirds.
And there could I marvel my birthday Away but the weather turned around. And the true Joy of the long dead child sang burning In the sun. It was my thirtieth Year to heaven stood there then in the summer noon Though the town below lay leaved with October blood. O may my heart’s truth Still be sung On this high hill in a year’s turning.
Eccolo, ero morto?, sui
bastioni del Vascello - irreali
come quest’aria che non conosco da piccolo,
o questa lingua di italici
pagani o servi di chierici - i bui
festoni dei glicini. Il quartiere ricco
n’è pieno, dappertutto. Spiccano
viola nel viola delle nuvole e dei viali.
Assurdo miracolo, per un’anima
per cui contano, gli anni,
che sono stati per lei ogni volta immortali.
Questi che ora nascono, sono
i glicini morti, non i loro figli barbarici
- dico barbarici se cupamente nuovo
è il loro essere, muto il loro monito...
Ma lo ripeto: non sono vergini
alla vita, sono dei calchi funerei,
che imitano la barbarie del dire
senza ancora possedere
parola, puro viola sopra il verde...
Io ero morto, e intanto era aprile,
e il glicine era qui, a rifiorire.
Com’è dolce questa tinta del cadavere
che copre i muraglioni di Villa Sciarra,
predestinato, prefigurato, alla
fine del tempo che si fa sempre più avido...
Maledetti i miei sensi,
che sono, e sono stati, cosi abili,
ma non mai tanto perché, solo se recenti,
le antiche fioriture non li tentino!
Maledico i sensi di quei vivi,
per cui, un giorno, nei secoli tornerà aprile:
coi glicini, con questi chicchi lilla,
trepidi in carnali file,
quasi senza colore, quasi, direi, lividi...
E tanto dolci, contro i loro muri d’argilla
o travertino, misteriosi come camomilla,
tanto amici per i cuori che nascono con loro.
Maledico quei cuori, che tanto amo,
perché ancora non sanno, non solo
la vita, ma neanche la nascita!
Ah, la vita solo vera, è ancora
quella che sarà: vergine lascia
solo ai nascituri, il glicine, il suo fascino!
E io qui, con questa scheggia
immateriale in cuore, quest’involuta
coscienza di me, che si ridesta a un attimo
della stagione che muta.
Insufficienza ormonica in cui vaneggiano
i sensi? Indebolimento dei battiti
del cuore, o eccesso dei vitali atti
dell’intelligenza? Ah, certo qualcosa
che va in rovina. Questo fiore è segno,
nel mio intimo, del regno
della caducità - della religiosa
caducità - nient’altro.
La sua è una gioia dolorosa,
e, nel dolore di quel lilla quasi bianco,
a esaltarci è la ragione del pianto.
Ma è ridicolo, non posso
straziarmi qui su questa pallida ombra
sia pure stracarica di spasimi,
questa leggera onda
lilla che trapunge il muraglione rosso
con l’impudica ingenuità, l’afasica
festa degli eventi selvaggi!
Non posso: io che da anni prèdico
che tutto ciò non esiste, ch’è atto
di alienata volontà,
di cecità che non conosce altro rimedio
che morire nel cuore
del mondo avuto in dono nascendo,
di incosciente possesso della storia,
di coscienza solamente retorica...
E ora, per un misero glicine
fiorito agli angoli di Monteverde,
son qui a ragionare di sconfitta.
Ma chi è che mi perde?
Dio redivivo, la colpa felice?
Sì, mi sento vittima, è vero, ma vittima
di cosa? D’una storia apocalittica,
non di questa storia. Mi contraddico.
Rendo ridicola una mia lunga passione
di verità e ragione.
Passione... Sì, perché c’è un cuore antico,
preesistente al pensiero:
e un corpo - o fiorente o ferito,
povera vita mai certa davvero
di resistere alla vita informe dei nervi.
Da questo inesprimibile attrito
nasce la prima larva della Passione:
tra il corpo e la storia, c’è questa
musicalità che stona,
stupenda, in cui ciò ch’è finito
e ciò che comincia è uguale, e resta
tale nei secoli: dato dell’esistenza.
II confine tra la storia e l’io
si fende torto come un ebbro abisso
oltre cui talvolta, scisso,
alla deriva, è il glorioso brusio
dell’esistenza sensuale
piena di noi: dinnanzi a questa fisica
miseria non può che ritornare
ogni storico atto irrazionale...
o non so cosa sia
questa non-ragione, questa poca-ragione:
Vico, o Croce, o Freud. mi soccorrono,
ma con la sola suggestione
del mito, della scienza, nella mia abulia.
Non Marx. Solo ciò che ormai è parola
la sua parola muta, non il chiarore,
non il buio che c’è prima, povero glicine!
Quanto in te vive - e in me per te trema -
resta represso gemito
di cui non si sa, di cui non si dice.
Ma è possibile amare
senza sapere cosa questo vuol dire? Felice
te, che sei solo amore, gemello vegetale,
che rinasci in un mondo prenatale!
Prepotente, feroce
rinasci, e di colpo, in una notte, copri
un’intera parete appena alzata, il muro
principesco d’un ocra
screpolato al nuovo sole che lo cuoce...
E basti tu, col tuo profumo, oscuro,
caduco rampicante, a farmi puro
di storia come un verme, come un monaco:
e non lo voglio, mi rivolto - arido
nella mia nuova rabbia,
puntellare lo scrostato intonaco
del mio nuovo edificio.
Qualcosa ha fatto allargare
l’abisso tra corpo e storia, m’ha indebolito,
inaridito, riaperto le ferite...
Un mostro senza storia,
feroce della ferocia barbarica
che compie le sue persecuzioni
nella stampa libera, nei miti confessionali,
brucia passioni, purezze, dolori,
che accetta la morte con crudeltà quasi ironica,
suo malgrado stoica, che non ha religione
se non quella di imporne una legale
con le sue regole, che non ha amore
se non quello che vuole
tutti uguali, nel bene e nel male,
che non conosce pietà,
perché per ognuno il conquistare
la vita è una tacita scommessa che lo fa
cieco padrone di tutto ciò che sa:
tutto questo ho trovato
nascendo, e subito mi ha dato dolore:
Ma un dolore glorioso, quasi, tanto
m’illudevo che il cuore
potesse trasformare ogni dato,
dentro, in un amore unificante:
da Cristo a Croce, che cammino consolante!
E poi, la speranza della Rivoluzione.
E ora eccomi qui: ricopre il glicine
le rosee superfici
d’un quartiere ch’è tomba d’ogni passione,
agiato e anonimo, caldo
al sole d’aprile che lo decompone.
Il mondo mi sfugge, ancora, non so dominarlo
più, mi sfugge, ah, un’altra volta è un altro...
Altre mode, altri idoli,
la massa, non il popolo, la massa
decisa a farsi corrompere
al mondo ora si affaccia,
e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video
si abbevera, orda pura che irrompe
con pura avidità, informe
desiderio di partecipare alla festa.
E s’assesta là dove il Nuovo Capitale vuole.
Muta il senso delle parole:
chi finora ha parlato, con speranza, resta
indietro, invecchiato.
Non serve, per ringiovanire, questo
offeso angosciarsi, questo disperato
arrendersi! Chi non parla, è dimenticato.
Tu che brutale ritorni,
non ringiovanito, ma addirittura rinato,
furia della natura, dolcissima,
mi stronchi uomo già stroncato
da una serie di miserabili giorni,
ti sporgi sopra i miei riaperti abissi,
profumi vergine sul mio eclissi,
antica sensualità, disgregata, pietà
spaurita, desiderio di morte...
Ho perduto le forze;
non so più il senso della razionalità;
decaduta si insabbia
- nella tua religiosa caducità –
la mia vita, disperata che abbia
solo ferocia il mondo, la mia anima rabbia.
Pier Paolo Pasolini Il glicine in La religione del mio tempo (1961), anche in Tutte le poesie, p.591.
La mente, la mente gioca a rimpiattino coi ricordi e confonde il presente di un viso noto, ma sconosciuto. E la considerazione è che ” i momenti intensi … li ho persi già “. Così la mente rende libero il presente, così, semplicemente.
Troppo cerebrale per capire
che si può star bene senza complicare il pane,
ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote
ma doppiate.
Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo
e quando dormo taglia bene l’aquilone,
togli la ragione e lasciami sognare,
lasciami sognare in pace…
Liberi com’eravamo ieri,
dei centimetri di libri sotto i piedi
per tirare la maniglia della porta e
andare fuori
come Mastroianni anni fa,
come la voce guida la pubblicità
ci sono stati dei momenti intensi ma li ho persi già
Troppo cerebrale per capire
che si può star bene senza calpestare il cuore,
ci si passa sopra almeno due o tre volte i piedi
come sulle aiuole.
Leviamo via il tappeto e poi mettiamoci dei pattini
per scivolare meglio sopra l’odio,
Torre di controllo aiuto,
sto finendo l’aria dentro al serbatoio…
Potrei ma non voglio fidarmi di te
io non ti conosco e in fondo non c’e’
in quello che dici qualcosa che pensi
sei solo la copia di mille riassunti
Leggera leggera si bagna la fiamma,
rimane la cera e non ci sei più…
Vuoti di memoria, non c’e’ posto
per tenere insieme tutte le puntate di una storia,
piccolissimo particolare,
ti ho perduto senza cattiveria…
Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo
e quando dormo taglia bene l’aquilone,
togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace…
Libero com’ero stato ieri,
ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi,
adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori…
come Mastroianni anni fa,
sono una nuvola, fra poco pioverà
e non c’e’ niente che mi sposta
o vento che mi sposterà…
Potrei ma non voglio fidarmi di te
io non ti conosco e in fondo non c’e’
in quello che dici qualcosa che pensi
sei solo la copia di mille riassunti
Leggera leggera si bagna la fiamma,
rimane la cera e non ci sei più… non ci sei più… ( Giudizi Universali – Samuele Bersani )
Vi voglio rifilare un paio di buoni consigli. Godete del potere e della bellezza della vostra gioventù senza pensarci. Oppure pensateci (tanto è lo stesso). Se ci pensate troppo scompaiono subito. Bellezza e gioventù le capirete solo una volta appassite, Dicono i saggi. Ma non vi illudete troppo. Tra vent’anni guarderete le vostre vecchie foto come dei santini: le adorerete in ginocchio. Quante possibilità avevate e che aspetto magnifico, Non eravate per niente grassi come vi sembrava. Niente pancie. Ma questo è il consiglio: la pancia non esclude l’erotismo. Guardate Socrate: pancione e grande amatore. Non preoccupatevi del futuro, oppure preoccupatevene, fate voi. Fate una cosa quando siete spaventati. Cantate. Il canto è esistenza. Non siate crudeli oppure siatelo ma solo un pochino. Lavatevi bene i denti! Pulite, strigliate il vostro corpo… Non perdete tempo con l’invidia… I Greci però l’apprezzavano e la attribuivano anche agli Dei: tenetene conto. Guardate con terrore la ragazza accanto: un giorno potrebbe essere vostra moglie. E voi ragazze guardate con orrore quel giovanottone che siede accanto a voi: un giorno potrebbe essere vostro marito! Ricordate tutti i complimenti che ricevete. Scordate gli insulti ma non tutti. Conservate quello che vi è piaciuto di più. Conservate le vecchie lettere d’amore. Che ridere! Non sentitevi in colpa se non sapete cosa fare della vostra vita. Le persone più interessanti che conosco, a ventidue anni non sapevano che fare della propria. Ma anche dopo. Forse vi sposerete, forse no. Ma se non vi sposerete non potete divorziare: pensateci. Godetevi il vostro corpo, usatelo in tutti i modi che desiderate. Si, anche in quello… Ballate! Anche se il solo posto che avete per farlo è il soggiorno di casa vostra. Leggete "Così parlò Zarathustra" ma tappategli prima la bocca. Anche lui dà consigli. O lui o me. Leggete ogni genere di istruzioni ma non eseguitele. Fatelo con i medicinali: prima buttate le istruzioni, poi i medicinali. Cercate di conoscere bene i vostri genitori. Non potete sapere quando se ne andranno… (finalmente!) Datevi da fare per colmare le distanze geografiche e gli stili di vita. Vivete a Canicattì ma lasciatela prima che vi indurisca. Vivete a … ma lasciatela prima che vi rammollisca. Siate cauti nell’accettare consigli, e pazienti con chi li dispensa. Accettate quest’ultimo consiglio: non accettate mai consigli. ( Battiato – Sgalambro )
Paese di terra terra di cani Paese di terra e di polvere Paese di pecore e pescecani E fuoco sotto la cenere Dentro le stanze del Potere l’Autorità va a tavola con l’anarchia Mentre il ritratto della Verità si sta squagliando e la vernice va via E il Pubblico spera che tutto ritorni com’era che sia solo un fatto di tecnologia E sotto gli occhi della Fraternità la Libertà con un chiodo tortura la Democrazia
Paese di terra terra di fumo paese di figli di donne di strada E dove se rubi non muore nessuno E dove il crimine paga C’è un segno di gesso per terra e la gente che sta a guardare Qualcuno che accusa qualcuno Però lo ha visto solamente passare E nessuno ricorda la faccia del boia è un ricordo spiacevole E resta soltanto quel segno di gesso per terra Però non c’è nessun colpevole
Paese di zucchero, terra di miele Paese di terra di acqua e di grano Paese di crescita in tempo reale E piani urbanistici sotto al vulcano Paese di ricchi e di esuberi e tasse pagate dai poveri E pane che cresce sugli alberi e macchine in fila nel sole Paese di banche, di treni di aerei di navi che esplodono Ancora in cerca d’autore Paese di uomini tutti d’un pezzo Che tutti hanno un prezzo e niente c’ha valore
Paese di terra terra di sale e valle senza più lacrime Giardino d’Europa, stella e stivale Papaveri e vipere e papere dov’è finita la tua dolcezza famosa tanto tempo fa E’ chiusa a chiave dentro la tristezza dei buchi neri delle tue città Chissà se davvero esisteva una volta o se era una favola o se tornerà E però se potessi rinascere ancora Preferirei non rinascere qua
Ho fatto scalo a Grado la domenica di Pasqua gente per le strade correva andando a messa. L’aria carica d’incenso alle pareti le stazioni del calvario gente fintamente assorta che aspettava la redenzione dei peccati. Agnus dei qui tollis peccata mundi miserere dona eis requiem. Il mio stile è vecchio come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore nel mio sangue non c’è acqua ma fiele che ti potrà guarire. Ci si illumina d’immenso mostrando un poco la lingua al prete che dà l’ostia ci si sente in paradiso cantando dei salmi un poco stonati. Agnus dei qui tollis peccata mundi miserere dona eis requiem.
( Scalo a Grado – Franco Battiato )
Per Tore: come vedi, alla fine, mi sono ricordata di una canzone " pasquale "…
Hello darkness my old friend, I’ve come to talk with you again Because a vision softly creeping left it’s seeds while I was sleeping And the vision that was planted in my brain still remains, within the sounds of silence
In restless dreams I walked alone, narrow streets of cobblestone ‘neath the halo of a streetlamp I turned my collar to the cold and damp when my eyes were stabbed by the flash of a neon light split the night… and touched the sound of silence
And in the naked light I saw ten thousand people maybe more people talking without speaking people hearing without listening people writing songs that voices never share noone dare, disturb the sound of silence
Fools said I you do not know, silence like a cancer grows, hear my words that I might teach you take my arms that I might reach you but my words, like silent raindrops fell… and echoed the will of silence
And the people bowed and prayed, to the neon god they made And the sign flashed out its warning in the words that it was forming And the sign said, "The words of the prophets are written on the subway walls, and tenement halls and whisper the sounds of silence.
(Simon e Garfunkel )
Il Suono del Silenzio
Salve oscurità, mia vecchia amica ho ripreso a parlarti ancora perché una visione che fa dolcemente rabbrividire ha lasciato in me i suoi semi mentre dormivo e la visione che è stata piantata nel mio cervello ancora persiste nel suono del silenzio
Nei sogni agitati io camminavo solo attraverso strade strette e ciottolose nell’alone della luce dei lampioni sollevando il bavero contro il freddo e l’umidità quando i miei occhi furono colpiti dal flash di una luce al neon che attraversò la notte… e toccò il suono del silenzio
E nella luce pura vidi migliaia di persone, o forse più persone che parlavano senza emettere suoni persone che ascoltavano senza udire persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato e nessuno osava, disturbare il suono del silenzio
"Stupidi" io dissi, "voi non sapete che il silenzio cresce come un cancro ascoltate le mie parole che io posso insegnarvi, aggrappatevi alle mie braccia che io posso raggiungervi" Ma le mie parole caddero come gocce di pioggia, e riecheggiarono, nei pozzi del silenzio
e la gente si inchinava e pregava al Dio neon che avevano creato. e l’insegna proiettò il suo avvertimento, tra le parole che stava delineando. e l’insegna disse "le parole dei profeti sono scritte sui muri delle metropolitane e sui muri delle case popolari." E sussurrò nel suono del silenzio
" The drone of flying engines Is a song so wild and blue It scrambles time and seasons if it gets thru to you Then your life becomes a travelogue Of picture-post-card-charms Amelia, it was just a false alarm
People will tell you where they’ve gone They’ll tell you where to go But till you get there yourself you never really know Where some have found their paradise Other’s just come to harm Oh Amelia, it was just a false alarm "
( Amelia – Joni Mitchell )
( " Il ronzio dei motori in volo/è un suono così selvaggio e triste/stravolge tempo e stagioni se arriva fino a te/allora la tua vita diventa un viaggiloquio/d’incantevoli immagini da cartolina/Amelia era soltanto un falso allarme//La gente ti dirà dove è andata/ ti dirà dove andare/ma finchè non ci arrivi da sola non saprai mai/dove certi hanno trovato il paradiso… " )
Respirando la polvere dell’auto che ti porta via, mi domando perché più ti allontani e più mi sento mia. Respirando il primo dei ricordi che veloce appare sto fumando mentre entri nel cervello e mi raggiungi il cuore.
Proprio in fondo al cuore, senza pudore per cancellare anche il più antico amore. Respirandoti, io corro sulla strada senza più frenare, respirandoti, sorpasso sulla destra e vedo un gran bagliore Lontano una sirena e poi nessun rumore. Lasciarti è fra i dolori quel che fa più male. Fra tanta gente nera una cosa bella tu al funerale.
Respirando pensieri un po’ nascosti mentre prendi il sole ti stai accorgendo "che un uomo vale un altro" sempre no, non vale. Respirando più forte ti avvicini al mare. Stai piangendo. Ti entro nel cervello e ti raggiungo il cuore.
Proprio in fondo al cuore senza pudore per cancellare anche il più nuovo amore. Respirandomi ti vesti e sorridendo corri e poi sei fuori Respirandomi tu metti in moto l’auto e accarezzi i fiori Lontano una sirena e poi nessun rumore. Dolore e una gran gioia che addolcisce il male. Fra tanta gente nera una cosa bella tu a me uguale, tu a me uguale.
Respirandoci, guardiamo le campagne che addormenta il sole. Respirandoci, le fresche valli, i boschi e le nascoste viole. le isole lontane, macchie verdi e il mare, i canti delle genti nuove all’imbrunire, i canti delle genti nuove all’imbrunire, i canti delle genti nuove all’imbrunire. ( Respirando – Mogol, Battisti )
lo lavoro al bar d’un albergo a ore porto su il caffè a chi fa l’amore. Vanno su e giù coppie tutte eguali, non le vedo più manco con gli occhiali… Ma sono rimasto là come un cretino vedendo quei due arrivare un mattino: puliti, educati, sembravano finti sembravano proprio due santi dipinti ! M’ han chiesto una stanza gli ho fatto vedere la meno schifosa, la numero tre ! E ho messo nel letto i lenzuoli più nuovi poi, come San Pietro, gli ho dato le chiavi gli ho dato le chiavi di quel paradiso e ho chiuso la stanza, sul loro sorriso ! lo lavoro al bar di un albergo a ore porto su il caffè a chi fa l’amore. Vanno su e giù coppie tutte eguali non le vedo più manco con gli occhiali ! Ma sono rimasto là come un cretino aprendo la porta in quel grigio mattino, se n’erano andati, in silenzio perfetto, lasciando soltanto i due corpi nel letto . Lo so, che non c’entro, però non è giusto, morire a vent’anni e poi, proprio qui ! Me Ii hanno incartati nei bianchi lenzuoli e l’ultimo viaggio l’ han fatto da soli: né fiori né gente, soltanto un furgone, ma là dove stanno, staranno benone ! lo lavoro al bar d’un albergo ad ore portò su il caffè a chi fa l’amore… lo sarò un cretino ma chissà perché non mi va di dare a nessuno la chiave del tre ! ( Albergo ad ore – Paoli, Pagani )
Carte e vento volan via nella stazione, freddo e luci accesi forse per noi lì ed infine, in breve, la sua situazione uguale quasi a tanti nostri films: come in un libro scritto male, lui s’ era ucciso per Natale, ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio: povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto… ( Incontro – Guccini )
SUICIDIO Nella sfera amorosa, il desiderio di suicidio è frequente: basta un niente per destarlo.
Al benchè mimimo dolore, io ho voglia di suicidarmi: quando lo si medita, il suicidio per amore non ha problemi di motivazione, non fà preferenze… non penso all’opprimente scenario, alle triviali conseguenze della morte: so a malapena come mi suiciderò. (R. Barthes)