Intermezzo

Mi piacerebbe conoscere tanto, ma tanto, uno di quei soggetti che creano campagne pubblicitarie e spot e gestiscono l’immagine di servizio e dei prodotti per una nota, anzi notissima!, marca di biscotti, merendine e pane in confezione – che già il pane in confezione mi sembra una stortura, ma tant’è! Sapete quel marchio che imperversa da millenni, proponendo la favola improponibile di un mulino bianco? Insomma quel marchio lì. Che ci faccio con il pubblicitario delle campagne di cui sopra? Gli chiederei di spiegarmi per quale assurda ragione spaccia, in un filmato pubblicitario, appunto- quei filmati che trasformano un programma televisivo qualsiasi in un fastidioso spezzatino –

gli chiederei, dunque, perché sia convinto che per rappresentare la semplicità e la bontà di un pane confezionato debba infiocchettarlo con due, figlia e mamma?, vestite come due quacchere – con tutto il bene che voglio ai quaccheri- così come non si vestirebbero neanche sotto tortura le possibili acquirenti del pane a forma di bauletto – semplice bontà è uguale a sciatteria?
E soprattutto vorrei sapere perché una volta confezionato il panino – se così si può chiamare panino un coso composto da due fette quadrate con il companatico! – la genitrice quacchera lo posiziona sul letto della creatura? Eh, perché?

Trash

sanSiamo così condizionati – sono così condizionata – dalle informazioni sul cibo, quello giusto e quello non, quello che ti intasa le arterie oppure quello che vanta benefici che manco la fontana dell’eterna giovinezza, da rovinarmi per sempre con fortissimi sensi di colpa la scorpacciata di patatine industriali, piene di insane schifezze – lo so, lo so! – che sto portando a termine in questo momento. Le guardo, in modalità dissociativa, ne prendo una consapevole del rischio e dico che mi sto facendo del male, ma chi se ne infischia dice l’altra parte della mia mente, mangiale e sentiti perversa, assapora quel misto di olio industriale  e grassi idrogenati, tanto che male vuoi che ti faccia un pacco di patatine? Non oso pensare al responso della bilancia – le trasgressioni pesano! – non oso pensare al responso di analisi ravvicinate. Finisco e giuro che mai più trash chips, fino alla prossima volta! 😉

Viva (?) la pappa col pomodor

pappa col pomodoroEddai non puoi venire a raccontarmi che una fetta di culatello è come fumare una sigaretta, stessi effetti, stessi danni. Intanto le sigarette mica te le mangi, sanno di paglia e non ti riempiono la pancia. Poi voglio vedere se a furia di demonizzare questo e quello non rischi di brutto quando torni a casa. Chi fa la spesa dalle tue parti? La moglie, la tata, la mamma, la nonna di sicuro. Prova a fare un’indagine di mercato – nel senso che vai al mercato rionale ad interrogate le donne presenti. Prova a sentire cos’ hanno da raccontarti a proposito di quello che compreranno per cucinare a pranzo e cena. Ti diranno del tedio perenne al solo pensare quel che faranno per pranzo, figurati a cucinarlo, il pranzo! E tu hai il coraggio di bacchettare queste eroine, queste sante subito con la menata della carne rossa cancerogena? Ma ti deve essere andato via il cervello! Non so se ti sei reso conto che rischi l’insurrezione popolare, lo sciopero delle massaie, le barricate perenni a tavola, l’astensionismo culinario per sempre! Già è così complicato pensare ” a cosa fare per sfamare il volgo ” e  tu vai a togliere le carni rosse perché portatrici di nefandezze, l’olio di palma ché ammazza le arterie, il pollo perché fa crescere le tette – che a certe donne che conosco io potrebbe andare proprio di lusso – il vattelapesca che cosa perché ti trasforma in lupo mannaro… ma insomma! Perché poi, diciamocelo, a furia di predicar bene razzolerai segretamente dal ” Re della fiorentina ” ad ingozzarti fino a tramortire i sensi, dopo che avrai impedito all’immonda carne rossa di varcare la soglia di casa tua e di imporre in cambio salutari pappe col pomodor di pavoniana memoria. Lo sai che sa di congiura questa alzata di carne, sì? Lo sai signor Oms? Specie poi quando fai accordi segreti con i tuoi pari al parlamento europeo che eleggono carne dell’anno gli insetti e i fuchi e le larve di api. Ma fatemi il piacere, va’; la carne rossa sarà cancerogena ma i bacherozzi sono schifogeni, altrochè!

Tutti ad Expo – di praticità, virtù

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Milano, stazione di Milano…

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Padiglione Zero, esterno

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Germania interattiva

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Germania ecologica

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Gli omini del cucù e signore

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Malaysia

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Gran Bretagna

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Austria

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Francia

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Vietman

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Totem

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Nepal

Mi verrebbe da iniziare: se proprio dovete andare all’esposizione più chiacchierata, in negativo per molti versi, della storia recente d’Italia, be’ andateci, ma senza un gruppo classe. Se proprio ve ne fanno carico e dovete condurre un branco di preadolescenti nel marasma meneghino attrezzatevi ad avere seimila occhi perché potrebbe essere una esperienza da incubo – soprattutto se i ragazzi tendono a divagare e ad ” attaccare bottone ” con tutte le persone, TUTTE, che compongono le interminabili file ai padiglioni. La scelta di andare in treno, in cuccette ” Comfort 4 ” è stata positiva. Partire dalla Puglia in autobus sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa – gli autobus devono rispettare degli standard che vanno dal fermarsi ogni tot ore, dal non superare i 90 km all’ora… gli autobus sono fondamentalmente scomodi, non puoi sdraiarti, non puoi frequentare la toilette tutte le volte che alla tua vescica ne viene voglia e via così, c’è sempre troppo caldo, troppo freddo, troppa musica, troppi ragazzi insieme. In treno, dopo un inizio confuso – manco a dirlo, il signor Trenitalia del post precedente, aveva prenotato in maniera creativa i posti letto che sono stati rivisti e corretti dopo circa venti minuti buoni dalla salita sul treno dell’andata e altrettanti su quello del ritorno! – dopo questa premessa, dunque, gli animi e i corpi dei ragazzi e dei docenti si sono acquietati. Alla stazione di Milano ci aspettava il buio! Alle sette del mattino! – ‘ssore’ ma perché non c’è il sole? e non c’è la luce? Anime candide e ignoranti!  – Colazione all’interno della stazione e via a prendere il trenino per Rho Fiera. Dieci minuti dopo, fiumane di persone erano assiepate davanti ai tornelli dell’Expo esattamente come noi. Con la differenze che i gruppi scuola avevano corsie d’accesso privilegiate – noi passavamo e gli altri attendevano… embe’, quando ci vuole! Abbiamo potuto vedere così, su due piedi,  il padiglione Zero l’unico che poteva aiutare i ragazzi a capire tutto quello che avrebbero visto in seguito, ma anche quello che non avrebbero potuto vedere e anche quello che da vedere non c’era. All’esterno del padiglione, verso l’uscita, la struttura ricordava le curve altimetriche della crosta terrestre – la visita si svolge idealmente all’interno della terra, ma a noi è sembrato di imbatterci nei nostri trulli – le chiancarelle sostituite da sedili in legno per sostare durante gli spettacoli esterni. Abbiamo organizzato le visite successive sulla base di quello che sarebbe stato interessante per i ragazzi e soprattutto ci siamo infilati dove non c’erano le code – ad eccezione per il padiglione della Germania dove la coda, ai tedeschi piacendo, era di novanta minuti, ma poi neppure una coda chissà come,  in considerazione del fatto che al padiglione Italia la coda era di tre ore, amen.

Padiglione interessante, il tedesco, interattivo e didattico, con una bella sezione al piano superiore dove avevano ricostruito un orto/ giardino con erbe officinali e per uso culinario, fiori, alveari, case per gli insetti… bello! All’uscita un gruppo nutrito – nel senso che erano realmente nutriti in eccesso – di bavaresi danzanti e schiaffeggianti che hanno divertito i ragazzi oltre misura –  in Puglia di personaggini vestiti come l’omino del cucù se ne vedono ben pochi! In Malaysia il tema di una agricoltura sostenibile e di qualità in grado di alleviare la povertà faceva a cazzotti con lo ” spaccio ” di volantino promozionale dell’olio di palma con unico e buono e creatore di posti di lavoro, un lavoratore ogni otto ettari! – ma evidentemente non hanno visto il servizio che ” Report ” ha mandato in onda il 3 maggio! Abbiamo steso un velo pietoso e siamo andati dalle api inglesi. Bello e suggestivo il padiglione Gran Bretagna in collegamento con l’alveare vero in madrepatria, meno bello il puzzo di fish and chips al piano superiore che rovinava l’effetto bucolico/ alveare. Il Future Food district poteva dare l’idea del supermercato del futuro, ma offre prezzi altrettanto futuristici in eccesso – un Foody calamitato a sei euro e cinquanta – ‘ssore’ ma sono impazziti?!? L’Austria ha ricostruito un bosco alpino, ma senza grosso sfarzo e la proposta di respirare l’aria del bosco – smell it, scritto da più parti – era anche qui vanificata dall’insalubre odore di salsicciotti austriaci e altre amene spezialität. La Francia ha infilato, in una grotta legnosa, lavanda essiccata, bottiglie di vino e tutto quanto fa grandeur, niente di particolarmente eccitante, ma è un padiglione che si visita in fretta e senza code. Religione ci ha costretti ad andare in Vaticano. Abbiamo avuto quasi pietà per il pover’uomo che tentava di spiegare la Bibbia ad uno dei nostri gruppi partendo dalla Genesi!  Il padiglione Italia, visto dall’esterno, mi è sembrato un panettone bianco quadrangolare. Davvero brutto. E l’albero della vita… va bene su, bravi al consorzio ” Orgoglio Brescia ” che lo ha costruito, ma ho trovato più interessanti i ” fiori di loto ” in legno che accoglievano i visitatori del Vietnam! Un vivo apprezzamento alla signora ” ViaVai ” che nonostante la notevole ressa all’ora di pranzo ha fatto in modo che avessimo da mangiare in tempi celeri e senza fila! Sui totem orribili di Piazza Italia sto ancora riflettendo.  Demerito totale per i servizi igienici che di igienico avevano veramente molto poco. Per tutte le volte che ci siamo entrati non ho mai visto il personale addetto fare pulizie. Eppure ce n’era ben donde! Il Nepal ci ha salutato, alla fine, con le sue preghiere e i suoi Budda. Expo sì, ma con moderazione e un solo giorno val bene la messa.

Racconti diVini

locorotondo panoramaQualche settimana fa, su invito di amici di vecchia data, ho trascorso una serata piacevolissima, a Martina Franca in valle d’Itria, cenando con un gruppo di persone che mi erano sconosciute, fino a quel momento. Come sempre succede intorno ad un tavolo dove siedono più persone e dunque l’interloquire a più voci si disperde e si frammenta in discorsi fatti con il dirimpettaio  o con colui – o colei – che ti siede al fianco, ho chiacchierato con un giovane uomo, molto distinto, molto riccioluto, che avevo di fronte. Dopo uno scambio di informazioni di base il giovane uomo mi ha rivelato di essere un editore. Chissà come ci si immagina un editore! Per quanto mi riguarda, fino a quella sera, il mio immaginario aveva sempre considerato editore personaggi tipo Arnoldo Mondadori oppure Angelo Rizzoli senior, oppure lo stesso Giuseppe Laterza, un po’ panciuti, stempiati, dall’età mediamente attestata intorno agli anta. Chi avevo dirimpetto era invece un ventino – per dirla alla Camilleri – secco secco – per ridirla alla Camilleri – riccio, occhialuto, molto serio e molto attento a quanto gli veniva detto dalla signora bionda che aveva di fronte. Alla notizia che la signora si dilettava da anni come blogger, il giovane uomo ha prestato maggiore attenzione e ha chiesto il nome del blog. É venuto fuori, anche, che la signora è una appassionata lettrice e dunque il giovane uomo ha detto a sua volta di aver scritto un libro Il mio punto di vista e che gli avrebbe fatto piacere farne omaggio alla lettrice accanita. Il libro del giovane editore è arrivato dopo qualche giorno a destinazione, con una bella dedica che ha deliziato la signora – Paolo Giacovelli, non temere, leggerò il tuo libro appena avrò terminato quello che ho sotto mano in questo momento! Non più tardi di qualche altro giorno, è arrivata comunicazione di un concorso letterario indetto dal giovane Paolo che ha come tema il vino. Per coloro che amano scrivere e amano bere, questa è l’occasione propizia per presentare il proprio lavoro letterario entro il 30 ottobre 2015 a Locorotondo presso l’editore Giacovelli. Il bando completo è scaricabile qui. E che vinca il migliore scrittore, estimatore di vini pugliesi!

La pubblicità è l’anima della risata

Tanto di cappello allo spirito goliardico che ha immaginato, per pubblicizzare una nota marca di digestivo effervescente,  il pasto dell’ingordo come un cinghialone gaudente e godereccio, che, al suono di una musichetta, saltella e gode della dabbenaggine del suo compagno di abbondanti merende! Tra umani porcelli per ingordigia e cinghiali abbondanti ci si intende! 😀 Intanto, quando la scenetta passa in tivù, mi diverto e ammiro il cinghiale, non è da tutti risultare indigesto! Quale ” raffinata ” vendetta zompettare sullo stomaco dell’odiosa di turno alla quale stiamo antipatiche? 😀

La cuoca pasqualina

Ci tocca!  Cucinare, intendo, per Pasqua, quello che la tradizione reclama – magari si può sempre optare per una pastina in brodo, chi te lo vieta, ma te l’immagini la faccia dei commensali? 😦 Poco fa ci siamo scambiate, in un triangolare sud/ centro Italia, qualche ” dritta ” culinaria, con le amiche alle quali avevo telefonato per gli auguri – ciao Fab, ciao Ste’! Grosso modo la tradizione è trasversale, il capretto impazza, i prezzi pure! Però ci sono le alternative, naturalmente – e qui vedo qualche insorto vegetariano a reclamare la pelle – nostra, mica del capretto! 😀 Insomma il capretto al forno con patate può diventare un vitello contornato dai tuberi e condito allo stesso modo, tanto tutto fa… ciccia! Qualche dolce ci sta, con lo zucchero naturalmente e cioccolato, per forza! Allora vi lascio due ricette della tradizione pugliese con i miei auguri di buona Pasqua, che sia serena naturalmente, e mangereccia! 😀

Scarcelle ( dolce pasquale, tipico del nord barese )
Per la pasta:
1kg. di farina OO
200 gr. olio e.v.o.
400 gr. di zucchero
4 uova
2 bustine di lievito per dolci
2 bustine di vanillina
1 pizzico di sale
a piacere la buccia grattugiata di 2 limoni o arance biologiche
 
In una ciotola capiente impastare la farina con gli altri ingredienti fino ad ottenere un impasto omogeneo e liscio. Se avete difficoltà con l’impasto aggiungere poco latte crudo.
Spianare la pasta fino allo spessore di 1 cm. circa. Ritagliare con gli stampi – preferibilmente a tema pasquale, campanelle, coniglietti, uova… o con un bicchiere grande le varie forme.
Cuocere in forno già caldo a 170 gradi circa finchè la superficie delle scarcelle non risulta dorata. 
Questa pasta frolla è una valida alternativa a quella preparata con il burro per le crostate
Preparare una glassa di zucchero a freddo:
250 gr. di zucchero a velo
1 bustina di vanillina
1 albume
1 pizzico di sale
Mescolare gli ingredienti con una frusta elettrica fino ad ottenere un impasto vellutato e semiliquido.
Spennellare le scarcelle con la glassa e decorarle con confettini colorati oppure con ovetti di cioccolato.
 
 
Si possono creare scarcelle a forma di uovo e decorarle, in fase di lavorazione, con un uovo crudo ben lavato e fermato sulla scarcella con due striscie di pasta. Si spennella con il tuorlo d’uovo sbattuto e si cuoce in forno. Verrà una scarcella monocolore, più tradizionale rispetto alle altre con la glassa.
 
 
Capretto al forno con patate
per 4 persone:
1 kg. di capretto – la parte del cosciotto
1/2  kg. di patate a pasta gialla
prezzemolo
1 cipollotto
qualche pomodorino pachino
olio e.v.o.
parmigiano grattugiato oppure formaggio romano – se è gradito
sale q.b.
Procedimento:
Sbucciare le patate e tagliarle a pezzi grossolani. In una teglia da forno disporre la carne con la cipolla e l’olio. Far soffriggere a fuoco vivo per poco tempo e sfumare con il vino bianco. Togliere dal fuoco, aggiungere le patate, il prezzemolo, spolverizzare di parmigiano, sale e altro olio. Tagliare a metà i pomodorini e disporli sulla carne e sulle patate. Coprire la teglia con della carta di alluminio e metterla in forno già caldo a 180 gradi. Lasciar cuocere per circa mezz’ora. Ultimare la cottura a teglia scoperta.
Le indicazioni dei gradi di cottura sono per un forno ventilato.
 
 

Trombare!:-)))

 
Dai su, non strabuzzate gli occhetti santi!
Non avete sbagliato blog, non siete incappati nelle pagine di Cicciolina!
Ho finito, poco fa, di impastare due focacce. Dalle mie parti impastare si dice trombare. A bocca aperta
Non so perchè, magari qualche riferimento all’atto che evoca ce l’ha anche, però non ho idea da cosa deriva. Indagherò!
Intanto vi dico come ho fatto, visto mai che mi diventate tutti provetti casalinghi pugliesi?A bocca aperta
 
Lessate due patate sbucciate e a pezzi ( di dimensione normale ) senza salarle. Fatele sfarinare leggermente( non le tirate via ancora sode! ) a cottura ultimata fatele raffreddare su un piattino, ma non buttate l’acqua di cottura.
Su una spianatoia, ma anche in una terrina di plastica capiente, mettete 800 gr di farina circa, una bella manciata di sale, un lievito di birra sfarinato e a temperatura ambiente – niente roba in polvere – fate un " buco " al centro della farina e schiacciate le patate lesse e raffreddate.
Aggiungete un po’ d’olio d’oliva extra vergine all’impasto e poco alla volta l’acqua tiepida di cottura delle patate. Trombate la pasta che deve risulatre "setosa " nè troppo morbida e neppure troppo dura.  Più si tromba, più la pasta cresce.
La pasta va poi stesa a crescere ulteriormente in due teglie da 30 cm di diametro, preventivamente oliate sul fondo.
Le teglie vanno sistemate in un luogo caldo perchè la pasta possa lievitare.
Dopo circa un’ora le focacce vanno condite con pomodorini tagliati, sale grosso e origano.
L’alternativa è il rosmarino e sale grosso. O quello che volete.
Una bella passata di olio in superficie e nel forno già caldo a circa 180/200 gradi per il tempo che diventino dorate.
Buon appetito e buona serata a tutti!
 
 
 

Chocolat

 
 
 
 
A me piace il cioccolato. Quello fondente, extra nero, che più nero non si può. Sono arrivata anche a farmi di nero al 99%. Non è proprio il massimo – sembra di gustare direttamente polvere di cacao – ma si può provare.
Le altre forme, a mio parere,  sono curiose mistificazioni commerciali – al latte, con nocciole, bianco!!! puà!!! –
Ci pensavo ieri pomeriggio quando mi sono concessa il solito quadratino quotidiano. Chi ama il cioccolato come me, sa bene che è una passione che nasce da lontano. Da bambina – sono stata bambina qualche tempo fa, lo ammetto – da bambina dicevo, a volte capitava che qualcuno mi regalasse una scatola di cioccolatini – non erano fondenti, ma dovevo ancora affinare il gusto… intanto mi allenavo con quelli – Mia madre, per non farmene cibare in un sol colpo, nascondeva la scatola.
Poichè mia madre era prevedibile nelle sue faccende la celava sempre nello stesso posto. Riuscivo tutte le volte a stanare quello che volevo senza fatica. La genitrice attribuiva questa mia capacità al sentire particolare del mio naso verso il cioccolato, quasi fossi una rabdomante olfattiva. In realtà doveva ringraziare la sua mancanza di tempo che le faceva riporre la scatola nel posto più a portata di mano.
Adesso è tempo di cambiare. Fa troppo caldo per il solito quadratino… comprerò del gelato al cioccolato!