Uscita dalla sala dove si proiettava, la tizia fastidiosa che avevo di fianco – munita di uno smartphone acceso e illuminato per tutto il tempo della proiezione – ha commentato: Pensavo fosse un film serio! Probabilmente l’aver visto “ La forma dell’acqua “ scambiandolo per un fantasy deve averla tratta in inganno. Ma è più probabile che il fatto di essere distratta dal suo smartcoso possa averla indotta a non capire, oppure ad ignorare vistosamente quello che il film ha saputo sapientemente raccontare in termini di bellezza e poesia. Il film è un racconto d’amore tra persone considerate diverse e dunque disprezzabili in una America piena di smarrimenti per le possibili invasioni aliene, per le insicurezze politiche dovute alla paura dei “ Rossi “, l’America arrogante e proterva del Maccartismo, quella che assomiglia terribilmente ad una certa America di oggi. Ti accorgi, guardandolo, che la solitudine dei protagonisti si sublima in una vita fatte di cose piccolissime e riesce a trovare spazi enormi di espressione in eventi inaspettati che riempiono di immenso una vita ordinaria. L’amore che tutto può, rende perfetti anche coloro che per nascita e aspetto perfetti non sono – agli occhi dei più. Bellissimo film con la regia di Guillermo del Toro e Sally Hawkins, Octavia Spencer e Richard Jenkins attori bravissimi, film da vedere e rivedere.
Richard Jenkins
Olive Kitteridge
Olive Kitteridge vive in una piccola cittadina del Maine dove per anni ha insegnato matematica nella scuola locale. Davanti ai suoi occhi sono sfilate generazioni di studenti, le stesse che hanno subito il suo carattere pieno di spigoli. Sebbene Olive Kitteridge non abbia mai ben compreso le umane passioni, ha amato a suo modo studenti e marito e figlio ricavandone, spesso, incomprensioni e delusioni. Solo il marito, persona mite e tranquilla, ha continuato a rimanerle accanto per smorzare le sue intemperanze, la sua antipatia congenita, assumendo il ruolo difficile di mediatore tra lei e il mondo. Elizabeth Strout, autrice del romanzo, imbastisce una serie di racconti che hanno come comune denominatore la docente di matematica. I personaggi vengono raccontati con maestria, immersi in un contesto sociale fatto di piccole cose, in una vita senza grandi sorprese. Di tutti vengono descritte le passioni evidenti oppure la difficoltà a nasconderle. Ognuno, con fatica, sembra rimuovere i ricordi e le emozioni, ma basta un nulla per sconvolgere quelle piccole esistenze, dove il quotidiano e la normalità vengono ricercati come un balsamo che lenisce e mette al sicuro dalle sorprese. Olive, per alcuni dei personaggi, è a volte solo una citazione, il ricordo di una vita già trascorsa. Conviene leggere il romanzo prima di guardare l’ottimo film, strutturato come una mini serie televisiva dall’HBO, interpretato da Frances McDormand, una magistrale Olive, e Richard Jenkins un altrettanto bravo Henry Kitteridge, marito di Olive.
L’ospite inatteso
Il legame affettivo che lega ancora Walter Vale, professore di economia nel Connecticut, alla moglie defunta, pianista, si esplicita attraverso le sterili lezioni di piano che il demotivato professore prende, credendo di poter apprendere la difficile arte di cavare note dal pianoforte che era stato della donna amata. La vita di Walter Vale si divide dunque tra l’università, dove stenta a trovare una ragione del suo operato, e la solitudine compatta delle ore passate in casa, delle cene solitarie in compagnia della musica riprodotta – quella sì suonata ad arte – del pianoforte di sua moglie. La malattia di una collega lo costringe a rompere gli schemi in cui si è costretto da tempo e, per sostituirla ad un convegno, rientra a New York, dove aveva abitato con la compagna di vita e dove conserva ancora un piccolo appartamento nel Greenwich Village. Arrivato a destinazione si rende conto che la casa che sapeva disabitata, in realtà è occupata dal siriano Tarek e dall’africana Zainab, ospiti abusivi, introdotti in casa tramite un mediatore senza scrupoli. Lo sconcerto iniziale dei tre dà luogo, in Walter, all’accettazione e alla proposta, rivolta ai ragazzi, di rimanere fino a quando non avranno trovato una soluzione. Inizia così una convivenza vivifica per Walter che ritrova interesse e curiosità verso la vita. Capisce attraverso il suono di Tarek, suonatore di djembe in un gruppo jazz, che la sua vera inclinazione alla musica è quella del ritmo tribale dei tamburi di un gruppo spontaneo di suonatori a Washington Square. Walter offre ospitalità in cambio di vita, finalmente. Ma la vita ha canali stranissimi di espressione e diventa complicata quando il caso sollecita le complicazioni. É per uno sfortunato caso, dunque, che Tarek viene arrestato perché immigrato clandestino e viene portato in un centro di detenzione nel Queens. Walter fa tutto quello che è nelle sue possibilità per aiutare il ragazzo, ospitando anche Mouna la mamma di Tarek, che intanto ha saputo dell’arresto. Il finale ricalca la misura del film, con le dovute considerazioni su un sistema di accoglienza americano che non accoglie più, e sulle tante tenerezze che rendono il film stesso un ottimo film. Che naturalmente è da vedere.