
L. era il biondino che abitava al piano di sopra. Più grande di me di qualche anno, sembrava non accorgersi di nulla intorno, assorto com’era su se stesso, quando rientravamo da scuola. Lui era già al liceo e non ricordo se, incrociandoci per le scale per l’ora di pranzo, ci fosse stata maniera di scambiarci un saluto, un cenno del capo. Credo proprio di no. Era il più piccolo di fratelli già grandi e di genitori già anziani, almeno così mi sembravano allora. Gente timorata di Dio, avevano in casa uno zio prete che abitualmente camminava anche di notte. Sapevamo che Monsignore era sveglio per il curioso rumore che facevano le sue scarpe, una specie di cigolio, che si ripeteva continuamente ad ogni passo, con grande fastidio per noi che stavamo al piano di sotto. Una sera sentimmo arrivare l’ambulanza. Pensammo subito allo zio prete, colui che in apparenza era messo peggio. Sentii mia madre bisbigliare < Povero ragazzo! > L. aveva provato ad uscire di scena nel peggiore dei modi, tagliandosi le vene. Qualche giorno fa G. mi ha raccontato la storia di una sua conoscente, una persona che non vedeva da tempo. Leggendo il suo necrologio, quella mattina, mi aveva poi riferito il modo che la donna aveva utilizzato per suicidarsi. Aveva affittato una stanza d’albergo e, come L., si era tagliata i polsi. Quest’ultima non aveva avuto nessuno che la salvasse in extremis. Riflettevo sulla modalità scelta da entrambi, riflettevo sulle possibili “ cause “. In un adolescente le decisioni sono repentine e quasi sempre non ragionate. Il nihilismo di un ragazzo non è mai supportato da una visione ragionata del mondo che non si conosce, dalle esperienze che non si sono fatte. Tutto è senza mezze misure, tutto nero o tutto bianco e, nel bene o nel male, si sceglie. Gli adulti ragionano, sanno com’è vivere, la fatica del quotidiano, il peso greve delle esperienze e scelgono, nel “ bene “ per se stessi o nel “ male “ per chi rimane a compiangere, scelgono il gesto eclatante, apparentemente senza ragione. Entrambi affermano se stessi agli occhi degli altri, entrambi dicono < Ci sono >. Perchè a questo servono le “ rotture “, gli strappi del vivere, ad affermarsi come persone e null’altro.