A rose is a rose is a rose *

Paolo Picasso – Ritratto di Gertrude Stein

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi sono sempre chiesta, leggendo o studiando i movimenti artistici e letterari del secolo scorso, se quanto sia successo sia stato determinato da circostanze specifiche, da influenze particolari oppure da processi imitativi o dalla semplice “ musica che gira intorno “. Parigi negli  anni precedenti la Grande Guerra era il luogo dove tutti dovevano essere, attori e comprimari. Si “ inventava “ l’arte che avrebbe sconvolto la pittura accademica, si maturavano linguaggi nuovi che avrebbero rivoluzionato il modo di scrivere romanzi o articoli di giornali. Racconta Gertrude Stein nell’ Autobiografia di Alice B. Toklas

Così cominció quella vita di Parigi e, siccome tutte le strade conducono a Parigi, ora ci siamo tutti e posso cominciare a riferire quello che avvenne da quando ci fui anch’io.

E descrive la Stein, con dovizia di particolari, l’esperienza vissuta in rue de Fleurus, gli artisti conosciuti – Picasso su tutti – i viaggi compiuti, racconta aneddoti, parla di se stessa e degli altri, parla di Hemingway.  Ci si trova immersi in quell’atmosfera che deve avere, necessariamente, influenzato tutti coloro che in quel momento erano presenti e anche coloro che sono venuti dopo. Il racconto fatto per interposta persona, come se fosse stato scritto da Alice B. ( B. Sta per Babette, il nome con il quale  Gertrude chiamava la sua compagna ) Toklas, è una novità assoluta nel mondo della letteratura del tempo. Successivamente, nell’ Autobiografia di tutti, continuerà a raccontare dei suoi tempi, con il suo caratteristico ingenuo e spietato humor, da “ anarchica programmatica “ qual era.

Gertrude è un personaggio coerente e ama l’eterno presente della vita come ama ( o per poter amare ) l’eterno presente della narrazione: Gertrude scrive soltanto “ su ciò che esiste “ –

dalla prefazione di Fernanda Pivano alla “ Autobiografia di tutti “

Gertrude Stein – Autobiografia di Alice B. Toklas – Einaudi ( tradotto da Cesare Pavese ) Gertrude Stein – Autobiografia di tutti – Nottetempo ( tradotto da Fernanda Pivano ) se ne consiglia vivamente la lettura ai fautori del chiacchiericcio nazional – popolare, perchè possano capire che non si vive di solo vaniloquio.

* La citazione, riportata in diversi scritti, è della stessa Stein.  Può essere intesa come “ le cose sono quelle che sono “ secondo il principio di identità, ma anche, così come spiegato dalla scrittrice, esprime il fatto che il semplice uso del nome di una cosa richiama già l’immaginario e le emozioni ad esso associate. Altri autori, parafrasando la Stein, hanno utilizzato la citazione variandola, nelle loro opere.

 

La bustina di Minerva*

Uno dei miei vezzi antichi era quello di iniziare a leggere l’Espresso partendo dall’ultima pagina. Perchè, vi starete chiedendo, leggevo una copia dell’Espresso scritta in lingua araba? Ma no! Mi sarebbe piaciuto, forse, conoscere l’arabo, ma il vezzo era dettato dall’esigenza pratica di leggere prima di ogni altro articolo “ La bustina di Minerva “ dell’ineffabile Umberto Eco. Premesso che nella vita, oltre al desiderio di voler essere bruna, avrei voluto essere Umberta Eco – il 2019, l’anno dei disvelamenti! – ecco che “ La bustina “ costituiva per me, drogata seriale, la dose settimanale di parole da non consumare – potevo mai arrivare al genio? Con lui ho condiviso solo il mese di nascita, gennaio, e il segno zodiacale!  Arrivare a  scrivere, felicemente, articoli su un qualsiasi argomento avesse attizzato la curiosità onnivora dell’Umberto, era probabilmente una goduria per lui e per i lettori, come me, che di fronte a tanta maestria ammutolivano. Certo i romanzi sono stati prove di elevata bravura, anche per gli affezionati, bravi a reggere fino alla fine, in alcuni casi, tomi non di facile e piacevole lettura, ma era nella saggistica, nell’ironica e ricercata evoluzione linguistica degli articoli, che veniva fuori il genio dell’Eco – a mio personalissimo parere. Erano i suoi, scritti all’apperenza facili facili, ma pieni di quel sapere del quale era maestro il nostro. Ora so che ci saranno stuoli di estimatori a sostenere il contrario, che era nei romanzi che si manifestava l’opera del genio… rimango affezionata a “ La bustina di Minerva “, nei secoli dei secoli, amen.

* “ La bustina di Minerva “ è stata la rubrica che Umberto Eco, settimanalmente, ha scritto dal 1985 al 2016 sull’Espresso, giornale che ha contribuito a fondare negli anni ‘50 del Novecento.   ( La rubrica prendeva il nome dalle bustine che contenevano i fiammiferi Minerva, utilizzati dallo scrittore per accendere i sigari. In mancanza di carta sulla quale prendere nota, al volo, del pensiero peregrino che successivamente avrebbe costituito il corpo dell’articolo settimanale, Umberto Eco scriveva sulla bustina dei fiammiferi – spiegazione a beneficio di coloro che, per distrazione o per giovane età – non sanno spiegarsi un titolo così curioso )

Lector in fabula ( e figurine )

Auguste Toulmouche, Dans la Bibliothèque
Auguste Toulmouche, Dans la Bibliothèque

Faccio collezione di figurine. No, non quelle dei calciatori o dei Pokémon, per quanto con quest’ultime potrei pavoneggiarmi con stuoli di cercatori di incrollabile e infaticabile fede e dall’età variabile. Faccio collezione di figurine virtuali. Il santo web permette raccolte di immagini che in altri tempi sarebbero risultate impossibili, salvo l’accensione di un mutuo ventennale spendibile nell’acquisto delle figurine Panini – e neppure quelle visto che a me dei calciatori non mi sconfinfera un bel niente. Colleziono, secondo il mio interesse e l’ingegno del caso, immagini di persone che leggono – e non solo. Nella scelta delle figurine non sono selettiva, tutto è accettato e accettabile. Si va dal manifesto grafico al preziosissimo quadro, dove la madama di turno è colta nell’atto della lettura oppure presa mentre è momentaneamente ferma, con il libro aperto tra le mani, e osserva il pittore che la ritrae in un gioco di vedi? sono istruita anch’io! In realtà, mettendo insieme alcune informazioni visive, vengono fuori delle riflessioni interessanti. Le signore dell’Ottocento amavano farsi ritrarre con un libro in mano: condizione manifesta del loro grado di istruzione, come dicevo poco prima? Oppure dello status che prevedeva, come corredo sociale, il possesso di una biblioteca casalinga? Sia come sia, una bella affermazione di (apparente) interesse verso la nobilissima arte della lettura – che attiene propriamente alle donne, perché le donne leggono più degli uomini e questo non lo dico io sola, la verità! Le donne dell’Ottocento e del Novecento leggevano senza distrazioni, lettrici dure e pure. Le fotografie più recenti di donne in lettura prevedono un corredo che, francamente, mi fa girare non poco le figurine: per risultare lettrici credibili, attualmente, bisogna avere all’attivo, nei pressi del luogo prescelto per dedicarsi alla nobile arte – il luogo è quasi sempre un bovindo, oppure una poltrona confortevole ammantata di un plaid in cashmere, il letto disfatto che fa pensare ad un prima e ad un dopo – l’immancabile tazza da mug con tisana, of course, maglioni oversize, il gatto acciambellato alla bisogna e il broncio assorto della lettrice incallita. Nel confronto mi sembrano più credibili, e in fabula, le madame d’altri tempi. Sarà la patina preziosa della rappresentazione artistica  a rendere accattivante l’idea delle donne lettrici credibili per sempre?

Roth scatenato ( una mia passione trentennale )

philip-roth-500-580x333Italiano, il mio collega ormai ex, del corso E – che rimpiango, eh sì, nonostante le sue verifiche collage e i suoi temi referenziali ( per gli alunni, mica per lui ), che rimpiango davvero poiché Italiano di quest’anno altri non è che la maestrina dalla penna rossa sotto le mentite spoglie di una laureata in lettere classiche che, poverina, costretta com’è ad insegnare ad allegre teste vuote di seconda media non prescinde dalla parafrasi di Dante e della Comedia Divina, viatico con il quale, poverini loro, i pulzelli di seconda media,  dovranno confrontarsi vita scolastica natural durante, roba da non invidiarli per nulla, poverini davvero, e poverina me che devo stare a sentirla! – Italiano, dicevo, premurosamente mi rifornisce ogni settimana, come un pusher che spaccia cultura di carta invece di colture di canapa, un inserto settimanale di recensioni libresche – conosce la mia insana passione di lettrice di libri e dunque… Qualche settimana fa mi sono imbattuta nella recensione di un recentissimo libro biografico su Roth – no, non Joseph il galiziano errante, ma Philip l’errante ebreo americano di Newark – scritto dalla giornalista Claudia Roth Pierpont che niente ha a che fare, in termini di parentado, con lo scrittore Philip. Da un punto di vista privilegiato – la giornalista è una degli interlocutori che lo scrittore “ utilizzava “ per le letture in anteprima delle sue opere, poiché a settantanove anni Alex Portnoy ha deciso di non scrivere più – con una metafora ha messo al corrente, gli amanti delle sue opere, della decisione:«Alla fine della sua vita il pugile Joe Louis disse: “Ho fatto del mio meglio con i mezzi a mia disposizione”. È esattamente quello che direi oggi del mio lavoro. Ho deciso che ho chiuso con la narrativa. Non voglio leggerla, non voglio scriverla, e non voglio nemmeno parlarne» – dunque il libro racconta Roth, alla fine della sua carriera prolifica di scrittore, come si può raccontare un uomo che ha fatto delle storie raccontante la sua ragione di vita – le nostre storie le perdiamo nel vento dei discorsi chiacchierati, loro, gli scrittori, le scrivono e con profitto se non sempre pecuniario, soddisfacente dal punto di vista personale e, non vi sembra una bella cosa? Per chi ama Roth, come me, è una manna dal cielo. Il libro Roth scatenato, ancora in fase di lettura, si è subito rivelato chiaro nella scrittura e brillante per gli aneddoti e gli spunti critici. Sono sempre più convinta che, per capire a fondo un autore, è necessaria la mediazione biografica di un interlocutore che abbia avuto la conoscenza diretta dello stesso. Chi scrive ha, come tutti, umanissimi appetiti vitali, non c’è nulla di mitologico nella persona di successo. La biografia ci avvicina alla gloria del successo – oppure avvicina il successo all’altezza del nostro quotidiano? Per chi ama Philip Roth un’ottima lettura.


Roth scatenato

Claudia Roth Pierpont2015

Frontiere

pp. 417

€ 22,00

ISBN 978880621794

Scrittori in singolar tenzone

logoCome ogni anno, puntuale alla stregua dell’influenza – ma meno deleterio – parte il Torneo letterario ” Io scrittore “, promosso da un grande gruppo editoriale e patrocinato dal MIBACT. Per chi avesse voglia di partecipare è possibile preiscriversi qui forniti dei soliti romanzi nel cassetto. Buona fortuna a tutti coloro che parteciperanno – e ricordate il diritto di copia autografata alla segnalatrice del torneo! 😀

Le donne della mia vita

harem-suare_144580A. dolce e affettuosa amica, mi ha regalato per Natale Rosso Istanbul  di Ferzan Ozpetek, un romanzo che ha il sapore dell’autobiografia senza esserlo. Il libro, in terza pagina, riporta un aforisma tratto da Harem Suarè, il secondo film del regista. Dice:

Non dimenticate mai che la cosa più importante non è come vivete la vostra vita. La cosa che conta è come la racconterete a voi stessi, e soprattutto agli altri. Soltanto in questo modo, infatti, è possibile dare un senso agli sbagli, ai dolori, alla morte.

Se penso al racconto di una vita, una qualsiasi, mi vengono in mente solo donne: mia madre, le sue sorelle, la nonna materna, alcune zie. Avevano il dono del racconto – quelle ancora in vita continuano a raccontare – e sapevano affascinare con parole semplici. Il racconto degli sbagli, dei dolori e della morte diventava, nel loro dire, una favola a volte amara, sempre piena di compassione verso chi aveva sbagliato, una tolleranza affettuosa che aveva radici nel quotidiano superare gli ostacoli, nella caparbia volontà di farcela, nonostante tutto. Ogni banale evento famigliare assumeva il tono e il colore di una saga d’altri tempi, dove i nomi e le appartenenze a questa o a quella famiglia rimanevano impressi nella mia memoria di bambina per l’uso di denominare con soprannomi curiosi, dall’origine sconosciuta, uomini burberi, altre donne invise, accostando al loro aspetto nomignoli buffi che facevano pensare ad un aperto dileggio, ma che in fondo servivano solo all’utilità del raccontare. Raccontavano per il gusto di farlo, senza essere consapevoli per le emozioni che riuscivano a suscitare con il loro dire, per le immagini che riuscivano ad evocare nella mente di chi sentiva. Da loro ho imparato l’arte dell’ascoltare e soprattutto il gusto del raccontare. Per quanto ordinarie tutte le vite andrebbero raccontate; mi piacerebbe un giorno scrivere di loro, perché non si perdano le loro tracce e la loro storia.

Odibì

sbam_LINUS_580Come e perché, da tredicenne, cominciai a comprare Linus non me lo ricordo. E’ probabile che c’entrassero quelle mattine brumose e fredde, prima di entrare a scuola. Un autobus vecchiotto ci accompagnava sul tratto di strada rettilineo che separa la mia città da quella dell’entroterra, dove frequentavo una scuola d’arte; si partiva al mattino prestissimo e solo molto più tardi si faceva l’ora per entrare a scuola. Intanto andavamo in un bar dove tra gli sguardi curiosi dei primi avventori, consumavamo qualcosa di caldo. Di fianco alla caffetteria c’era una libreria/rivendita di giornali dove trascorrevo una buona parte di quelle ore. Fu lì di sicuro che comprai per la prima volta Linus. Il giornale aveva allora un odore, sapeva di carta speciale, una via di mezzo tra il non patinato e cartoncino leggero.  Difficile davvero descrivere la sensazione tattile e visiva di sfogliare quelle pagine, la febbrile curiosità di accedere alle storie che vi si raccontavano, storie a volte strampalate, tenere, politiche, satiriche, storie a strisce, fumetti. Erano i Peanuts a fare gli onori di casa, poi seguiva B. C. di  Hart e ancora il campagnolo finto ignorante Li’l Abner di Al Capp, marito di Daisy Mae e figlio di mamma Yokum. E non solo e non quelli. Tra le rubriche i Wutki, memorabile siparietto di Sergio Morando che si occupava di letteratura, giochi ( ! ) giochi di parole, limericks. E chi se non Oreste del Buono, Odibì come era chiamato, poteva aver voluto il giornale fatto in quel modo? Una rivista di fumetti che pubblicava, sì, storie a fumetti, ma parlava d’altro e di più. Il mitico direttore di Linus negli anni ’70 era una persona appassionata, uno che si innamorava delle novità; fu lui per primo ad interessarsi ad Andrea Pazienza e agli artisti dell’area di Bologna, grazie a lui so chi è Paz e tanto altro. Alla fine di quel decennio finì la sua collaborazione con la rivista e anch’io smisi di comprare Linus, non aveva più senso leggere qualcosa che aveva preso un’altra strada; senza Odibì Linus non era più un piacere. L’altra mattina, passando davanti ad una edicola ho visto in vetrina il numero di settembre della rivista. Accanto al titolo, con un corpo più piccolo, ma grande tanto perché potessi notarlo, c’era quel dedicato ad OdB che me l’ha fatta ricomprare. Raccontano Oreste del Buono, a dieci anni dalla morte – 30 settembre dl 2003 – sua figlia e i suoi collaboratori di allora; il direttore di Linus, deliberatamente ignorato da sempre dall”intellighenzia italiana e dai critici. Un silenzio vergognoso privo di commemorazioni, in un paese dove si commemorano anche le pietre, ha accompagnato il decennale dalla sua morte. Nel ricordo di Ranieri Polese c’è scritto:

Quando, nel 1996, si decise a raccogliere in un libro trentatré ritratti di amici & maestri ( il trentaquattresimo era dedicato all’epica rivalità tra Rizzoli e Mondadori ), Oreste del Buono diceva di assolvere un dovere nei confronti di persone della sua generazione, di quelle che avevano avuto ” la crudele ricompensa di essere dimenticate in fretta “. Non sapeva, non poteva sapere che anche a lui sarebbe toccata quella ricompensa crudele.

Il mestiere di vivere

Cesare_Pavese_218 agosto

La cosa più segretamente temuta accade sempre. Scrivo: o Tu, abbi pietà. E poi?

Basta un po’ di coraggio.

Più il dolore è determinato e preciso, più l’istinto della vita si dibatte, e cade l’idea del suicidio.

Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l’hanno fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio. 

Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più.

( dal diario di Cesare Pavese ” Il mestiere di vivere ” ) 

Cesare Pavese muore suicida in una stanza dell’albergo Roma, a Torino, il 27 agosto del 1950.

Marsiliesi

 

20130813_200209Tempo fa vi avevo raccontato dell’iniziativa editoriale – apprezzabilissima – dell’editore Marsilio di regalare un ebook a coloro che ne avessero fatto richiesta. Scopo dell’iniziativa era ottenere la possibile recensione direttamente dai lettori, piuttosto che dai critici sulle riviste specializzate. Stavolta il ” santo ” editore replica con un altro invio, graditissimo, ma in versione cartacea. L’autore è uno dei due già preso in considerazione la volta passata: si tratta di Jussi Adler- Olsen ( qui lo trovate in un ebook gratuito ) e del suo ” Il messaggio nella bottiglia “ del quale ve ne dirò in seguito. Il libro uscirà in Italia il 18 settembre 2013; in questi giorni ne leggo l’anteprima esclusiva. Vi dirò, mi sento molto coccolata e benvoluta dal signor Marsilio. Grazie a coloro che mettono a frutto iniziative di questo genere. Altri editori e di ben altri budget manco un segnalibro ti mandano a casa! 

Un libro è per sempre!

giornata mondiale del libro 2013Una vecchia pubblicità – che aveva a che fare con le ricche multinazionali dello sfruttamento del sottosuolo africano – sosteneva l’utilità di possedere un diamante, poiché asseriva, un diamante è per sempre. Sono convinta che in tempi di crisi come questi se uno avesse un diamante potrebbe effettivamente capitalizzare il suo possesso, vendendolo. Ma nel caso si possedesse un libro, o più di uno, che cosa si potrebbe fare, se non tenerlo e leggerlo? Venderlo come testo usato? Il ricavato sarebbe irrisorio a meno che non si tratti di un ricco libro di ore arrivato per vie ereditarie nelle mani del possessore dal valore intrinseco, probabilmente, più alto di quello di un semplice diamante. E lo stesso si proverebbero molte remore a rimuoverlo dalla propria biblioteca, perché ritengo che chi possiede diamanti non faccia grande fatica a sbarazzarsene, ma chi possiede un libro acquistato con senso, per chi abbia amato il libro acquistato tenendolo tra le mani e leggendolo per uno o due o mille volte, quella persona avrà fastidio a disfarsene, proverà una sorta di brivido all’idea di cederlo – come un amante geloso dell’amata. Devo ammettere di appartenere alla categoria amante geloso. I libri che in questo momento sorvegliano le mie spalle e sovra/ intendono al mio scrivere sono il mio patrimonio, il sapere amato conquistato in anni e anni di  – a volte – caparbio interessamento, di curiosa ricerca, di appassionata lettura. Di ogni libro ricordo la circostanza dell’acquisto, il luogo, il bisogno del momento che mi ha spinto a cercarlo. Di alcuni – letti molte volte – ricordo le parole iniziali, le sensazioni ricavate, le emozioni, ché alcuni libri, sicuramente, emozionano più di un appassionato amore, con meno danni nel caso di abbandoni repentini. E se un amore appassionato ha un inizio, di sicuro, e termina, altrettanto sicuramente, la lettura di un libro gode della stessa fortuna, ma con variabili dovute all’interesse che muove, sicché si può iniziarlo e portare la lettura a termine per infinite volte, provando ogni volta la felice sensazione che se c’è qualcosa di duraturo nel tempo, quella è la lettura di un libro. Mi sembra un affronto personale quando mi capita di sentire qualcuno o qualcuna asserire l’incapacità a leggere, la scarsa propensione a tenere un libro tra le mani. L’atto di creare proseliti con l’amore per la lettura tra le giovani generazioni è spesso un vago esercizio retorico; ti guardano come se fossi una marziana e non capiscono che leggere è vita. Il libro è un oggetto fatto di parole che se non comprese hanno un valore effimero, ma se ti entrano dentro sono più immense del mare e del cielo. Oggi si festeggia il libro in tutto il mondo, buon anniversario al libro!